Ferrara, 20 aprile
1945
Sulla città incombeva già da
due o tre giorni, un pesante spezzonamento operato dall'artiglieria
delle forze armate alleate attestate sul fiume Reno nei
pressi di Argenta.
Allora, le truppe tedesche erano in rotta e tentavano, con mezzi
di fortuna, propri o all'occorrenza
sequestrati,
l'attraversamento del fiume Po a Pontelagoscuro dove i ponti - sia stradale
che ferroviario - erano già stati abbattuti.
Migliaia di soldati perdevano la vita e quel che rimaneva dell'esercito
della R.S.I. e della G.N.R. si disperdeva nascondendosi e preparandosi
a subire chi una vendetta e chi il pesante giudizio del C.N.L.
Pochi, i più fedeli e disperati, tentavano la fuga e trovarono
invece morte sicura nuotando tra i gorghi del fiume in piena dopo un inverno
tra i più rigidi del secolo scorso.
Ferrara, 20 aprile
1945, ore 13
Nel rifugio c'era tutto per il desinare.
C'erano una decina di adulti con tre o quattro bimbi!
Mancava solo il pane e a Ferrara, in quel periodo, mancava
quasi tutto, ma non la farina.
Il rifugio - una struttura in cemento armato a forma di tunnel
ricoperta con uno strato consistente di terra, costruita sull'area
del giardino della casa dove abitavo - distava dalla panetteria
qualche decina di metri. Per raggiungerla occorreva uscire dal giardino,
percorrere qualche metro della via, attraversarla ed il percorso
finiva lì: due
minuti per l'andata, un tempo indefinito per la spesa e due minuti
per tornare: insomma dieci minuti, in tutto!
Nel rifugio si cercava un volontario che si prestasse all'operazione
pane! Papà si fece avanti, attese un momento di tregua ...
che non veniva e partì. Passarono più di dieci minuti.
Eravamo in ansia. Non
ricordo quanto tempo passò; forse venti, o trenta minuti!
La durata del tempo non ha limiti quando si è in ansia e si
teme per la vita di qualcuno. Mi appellai alla Madonna con tutte
le mie forze, di preservare il mio papà da ogni pericolo.
Più avanti, negli anni, detti
un significato a quanto le suore mi avevano insegnato: l'amore per
il prossimo che è sintesi di fede, speranza e carità.
Anche altri pregavano in cuor loro e lo lasciavano appena apparire.
Improvvisamente si sentì bussare, come convenuto, alla porta
in ferro; la pesante maniglia, manovrabile anche dall'esterno, si
mosse cigolando: apparve papà, salvo!
Aveva in testa il cappello con la tesa bruciacchiata, nella
mano destra il fagotto del pane e, sul polso della mano sinistra,
una scheggia ancora rovente posta su un fazzoletto!
Raccontò che aveva visto, nel percorso verso la panetteria,
una persona colpita in pieno da una scheggia simile!
Non potette prestare soccorso: il fischio delle granate era
via via più intenso
come anche le sempre più frequenti detonazioni provocavano
una pioggia continua di schegge.
Una di queste lambì la tesa del cappello che portava in testa.
Fu più forte di lui il desiderio di raccoglierla per mostrarcela,
conservarla come cimelio per poi trasformarla in un oggetto.
Infatti, poco dopo la Liberazione, l'affidò ad un molatore
che, con grande maestria nel lavorare le più dure leghe d'acciaio,
riuscì a
trasformala in un "taglia-fermacarte" con l'incisione:
Ferrara 20 aprile 1945!
Ecco come, attraverso quest'oggetto, riesco a riportare alla
memoria un episodio vissuto, appena undicenne, con i miei genitori
che con tanto amore ed armati da un formidabile coraggio, riuscirono
ad allevare mio fratello e me in quel terribile periodo della nostra
storia nazionale!
Roma 8 settembre 2002
Inserisco in questa pagina due documenti relativi
al vano tentativo dell'esercito italiano nel riprendere il controllo
del territorio successivamente alla caduta del fascismo:
il primo, datato 28 luglio 1943 del Presidio Militare di Ferrara;
il secondo, di poco successivo, del Comandante in capo delle truppe
tedesche in Italia.
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