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I giovani dalmati
di Emilia Belzoppi
   
Parla ancora degli esuli rifugiati in San Marino e di quanto si fece per aiutarli. Leggi anche ...

 

Giovanni e Giorgio Ergovaz erano fratelli nati a Spalato in Dalmazia nelle vicinanze del Montenero. Mortogli il padre, restarono sotto la tutela di uno zio, la madre passò in seconde nozze, né si prese più cura alcuna di essi.

Giovanni il maggiore, fu destinato dallo zio per la carriera ecclesiastica e per quanto il giovanetto vi si applicasse evocando l'aiuto della cara memoria della madre, fu giocoforza chinare il capo, vestirsi da abate e restare rinchiuso in un Seminario di una città italiana. Studiò indefessamente per apprendere, ma sempre all'idea di emanciparsi; quella vita gli era insopportabile, odiosa ... passava le intere notti piangendo e pensando alla cara famiglia e, sopra ogni altro al fratello Giorgio che sapeva dipendente di uno zio despota e tiranno.

Giunto all'età in cui lo si voleva conferigli i primi ordini, seppe illudere lo zio che gli mandò una somma di qualche rilievo ed un bel dì prima dell'alba uscì dal seminario e si nascose in casa di un compagno che frequentava la stessa scuola.

Passati i giorni di ricerche, quando sembrò che niuno più pensasse ad esso, si vestì in borghese e si recò all'Università di Padova, ove con profitto continuò gli studi per qualche anno.

Le cose d'Italia non potevano restare indifferenti ad un animo caldo espressivo; affratellato alla lega degli studenti che amavano come fratelli, venne esso pure compreso nelle dimostrazioni politiche; tenuto in considerazione per l'ingegno e l'istruzione che lo distinguevano.

Proclamata la Repubblica Romana, 1849, fu chiamato dalla costituente a coprire un posto di segretario.

Quando, dopo accanita difesa e dopo molti giorni di trincera aperta, il 3 luglio la Repubblica Romana dové capitolare, i deputati si dispersero e vari, potrei dire molti, si rifugiarono a Sanmarino fra i quali Giovanni Ergovaz.

Era alto di statura, ben formato, aveva mani bianchissime, dita affusolate, rare in un uomo; il suo volto di un ovale e di lineamenti artistici, spiccava maggiormente per il bianco della carnagione e l'incarnato roseo delle gote. L'occhio bluastro, contornato da lunghe palpebre, aveva un moto lento, mesto espressivo: si sarebbe detto che cercasse nell'animo suo qualche cosa quasi perduta ... qualche reminiscenza che ti era cara e che ora sbiadita e quasi cancellata, non riusciva a rivestire de' primitivi colori.

Forse la Fede?

Contornava il mento una barba bionda oro come i capelli che gli scendevano ricci bordolati sino alle spalle. Era una vera testa di Nazareno, in tutto il tempo che sono al mondo mi fu dato vedere la simile. Aveva anche una espressione dolcemente severa, si era attratti a guardarlo ed incuteva rispetto, direi quasi venerazione. Noi dicevamo che Dio manda talvolta certi esseri in terra, per darci un'idea delle bellezze del cielo.

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Dopo che Garibaldi venne a deporre l'armi sulle cime del Titano, ove si sciolse la Legione e si può dire che l'Aquila di Roma di nuovo le sue ali raccolse e posò.

Fra i legionari era in qualità di Aiutante Maggiore Giorgio Ergovaz che rivide il fratello con gioia, perché non sapeva ove fosse dopo la caduta di Roma. Partito il Generale esso fu tra i vari restarono e frequentava la nostra casa. Più alto di Giovanni e più quadrato aveva l'impronta marziale; portava la testa alta come chi è avvezzo a mirare il pericolo e sfidarlo. Di carnagione bronzina, baffi e capelli castagni scuri, belle e marcate fattezze, occhio nero, largo espressivo, talvolta fulmineo. Rammento averlo veduto in divisa: un nero tipo marziale. Apparteneva alla Compagnia della Morte; il suo berretto portava il teschio e gli stinchi in croce, la lastra del petto, le spalline, i bottoni tutto aveva l'emblema della morte, ch'esso considerava come una gloria, un dovere, il perdere la vita sul campo per difesa della libertà.

Stanco esso pure delle tiranniche vessazioni dello zio, lasciò la casa e sentendo in petto la scintilla della libertà ed un irresistibile trasporto per le armi, fuggì sui monti, si unì agli abitanti del Monte Nero e non curando gli stenti di una vita nomade e faticosa, combattè con essi e ponendo il suo mantello beduino sul picco del monte sormontato da Fez, berretta rossa a lungo nappo, scaricava il suo moschetto sul nemico in linea cogli altri che avevan dietro le lor femmine che gli caricavan le armi.

Così difendevano i loro monti; volevano essere liberi e poveri e morire pria di chinare il collo ad un giogo odiato.

La fama dell'Eroe dei due mondi ebbe eco anche sulle cime del Montenegro e Giorgio ne fu scosso, scese, varcò il mare, lo raggiunse, si arruolò e in breve tempo sul campo di battaglia raggiunse il grado di Aiutante Maggiore.

Aveva 23 anni quando lo conobbi e Giovanni 25. Un fare franco, facile parola, cortese di modi, un gentile Ufficiale di Cavalleria, ripeto un vero tipo marziale.

A San Marino tutti li amavano: erano della patria del nostro Santo: del fondatore della nostra libertà e ciò bastava per renderli cari ad ognuno.

Quando assieme agli altri dovettero lasciare quel piccolo nido di libertà (· ) , fu un distacco doloroso come la partenza di cari fratelli.

°°°

Partiva Savini, Manfredini, Migliazza, pure aiutante di campo, il Tenente Gira di Milano, un nipote del Conte Porro, di quello che ebbe tanto a soffrire del 31, con Pellico, Maroncelli e tanti altri fra i quali certo Amos Occari che era conduttore di una compagnia e del quale il generale aveva stima e fiducia. Era un corpicino esile di mezza statura, bianco e biondo come un giovanetto di 18 anni.

Era Mantovano. Io piaceva ad esso esso piaceva a me. Quando mi vedeva mi diceva sempre delle gentili parole; io diveniva di porpora e cercava di ritirarmi. Un dì, veniva dal Reggente, lo incontrai a mezzo lo salone, ci fermammo un istante uno rimpetto all'altro, ci guardammo negli occhi senza proferir parola e via di corsa ognuno per il suo affare. Venne la madre a prenderlo; una bella Signora: quando partiva si allontanò da molti che l'accompagnavano, salì un piccolo monte rimpetto a casa e mi mandò col fazzoletto il suo ultimo saluto.

Gli altri ebbero un passaporto ed una buona guida; i loro addio, le parole di riconoscenza , la partenza, l'incertezza dell'avvenire, li teneva pensierosi e commossi.

Giovanni era seduto accanto la finestra, aveva un lungo cappotto di Baracan impermeabile, verde scuro, tutto foderato di scarlatto ed un cappuccio sul capo. Lo guardai: teneva lo sguardo chino e sembrava non udire i discorsi degli altri. Lo guardai lungamente attratta dalla sua bellezza: giammai vidi testa di Nazareno che il pareggiasse, il cappuccio gli faceva una cornice e il rosso della fodera lo circondava come di una luce di crepuscolo. Non fui sola ad ammirarlo. Savino mi stringeva le mani, mi baciava, mi dava degli avvertimenti da padre.

Babbo e mamma piangevano ed accompagnavano questi buoni amici conosciuti nella sventura, de' loro più ardenti voti.

Passarono in Toscana: gli Ergovaz s'imbarcarono a Livorno e si recarono in Alessandria d'Egitto. Giovani dopo pochi mesi venne assalito dalla febbre gialla e morì; Giorgio si mise a fare il cacciatore di fiere e portando la pelle di un bellissimo Leopardo ai piedi della Regina, forse trovandolo bello, ardito e fiero, prese a proteggerlo e lo ricolmò dei suoi doni e delle sue grazie. Queste ultime notizie scrisse ad un amico e giunsero fino a noi.

Savino ebbe a Prato una cattedra di Matematica e così alleviò la famiglia della spesa del suo mantenimento.

Quando Pio IX seguendo gli impulsi del cuore mandò una nuova amnistia esso, come tutti gli altri, rimpatriò e felice di trovarsi nella sua Bologna in mezzo alla moglie e a tre cari figliuoli ricercato dagli amici, amato da tutti si ritirò alla sua villa di Pizzocalvo per godersi nella solitudine l'amore dei suoi cari, quando, circa un mese dal suo ritorno, un fiero sinoco lo assalse ... e in pochi giorni morì. Morì appunto quando poteva vedere realizzate tante speranze, vedere un compenso a tante vittime sacrificate per questa povera Italia.

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E perché io sono trattenuta sopra queste cose che poteva solo accennare? Non so: mi sono sentita spinta a seguire il filo de' miei pensieri, che mi schieravano sott'occhio i fatti e gli uomini ai tempi passati e la mia penna correva correva ..

Lo sfratto degli Emigrati fu una misura presa dal governo per impedire mali maggiori, poiché il governo pontificio, da noi detto il governo di sotto minacciava agire ostinatamente verso la repubblica e venire a viva forza di fare delle perquisizioni, legarli, se li avessero trovati e portarseli via.

Agendo prudentemente come fecero, tutti si misero in salvo e dopo scorso il termine fissato, prima che avessero luogo le perquisizioni, babbo faceva scrivere dalla mamma al capo di casa che aveva alcuno presso di sé, in modo che non si potesse da tutti comprendere, sotto metafora, avvertiva di allontanare . di porre altrove al sicuro. Babbo e mamma avevano cuori d'oro: non potevano vedere che alcuno soffrisse e nulla lasciavano intentato per alleviare la povera umanità; e ciò sia detto anche per la carità che con amore e pietà elargivano a chiunque fosse venuto alla nostra porta.

Ma ciò non bastava: ciò era invece un'arma di odio per coloro che senza alcun motivo gli erano nemici e che minacciavano in silenzio la sua rovina.

La maggior parte degli esuli rimasti erano per delitti comuni e non avevano potuto avere un foglio di Via come i politici, perciò se ne stavano rinchiusi e di casa in casa, facevano dei raduni con i primi discoli scostumati del paese sino a formarne una Squadrazza come nelle città di Romagna, allo scopo di levarsi i loro capricci estinguendo nel sangue il livore e l'odio di che era ripieno il loro animo fello!

Al mattino si trovavano dei libelli, nei quali il nome di mio padre era sempre tra i primi. Esso non temeva, non dava peso: era dotato di un coraggio civile non comune e la tranquillità di sua coscienza lo rendeva sicuro. Non così la mamma, della nonna, di noi. Un cumulo di pensieri, di timori strazianti amareggiava la nostra esistenza . e babbo usciva sempre come di consueto alla sera, rientrava tardi e noi ad attenderlo col cuore palpitante pregando la Vergine che ce lo salvasse! Una sera un'esplosione di arma si udì; pareva che il colpo fosse stato sotto il portico di casa: la mamma aprì disperatamente la finestra e gridò: che è stato che è stato!! Un profondo silenzio tenne dietro alle sue parole ed essa andava ripetendo: ma ditemi che è stato!. Il dolore e la tema con che pronunziava questa richiesta impietosì uno che rispose: nulla signora, un ubriaco uscendo di cantina è caduto e l'arma che aveva nella giacca si è esplosa. Grazie rispose la mamma gettandosi sulla seggiola a braccioli, come un panno lavato.

 

(·) partirono il 19 ottobre 1849
 
Presentazione
13 luglio 1892
I Cappuccini
Grandicelle
Viva Belzoppi
Il buon santolo
Altri dolori
Papà Reggente
Vicende politiche
Garibaldi rifugiato
Gli esuli
I giovani dalmati
Omicidi
Onoranze
  Lettori
  Episodio
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  Poesie
Frammenti
  Fratelli di Candia e Grecia
Revisione del 27 giugno 2006