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Onoranze a Garibaldi - Verdi - Belzoppi

 

   
Estratti da "IL TITANO"
(31 luglio e 31 Agosto 1913)
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Premessa

Recatomi a Verucchio per un breve incontro con degli amici, ho avuto l'occasione di farmi rilasciare le copie del giornale "Il Titano" del 31 luglio e del 31 agosto 1913 dedicate alle onoranze che si tributarono a Giuseppe Garibaldi in memoria dei fatti che si svolsero successivamente alla caduta della Repubblica Romana nel 1849. Fuggito l'Eroe con un manipolo di superstiti, trovò salvezza presso l'ospitale Repubblica di San Marino, ricevuto da Domenico Maria Belzoppi, allora Capitano Reggente.

Da dette copie ho stralciato gli articoli relativi e questa ricorrenza, che trascrivo in queste pagine come complemento alle Memorie della mia bisnonna Emilia Belzoppi, figlia del Reggente che, ancora fanciulla all'epoca dei fatti, ha tramandato, vivo, il ricordo per i propri cari e per la sua discendenza.

Da queste pagine e da altre collegate alla sezione Argomenti di questo sito, traggo lo spunto per intrattenermi sul tema di mio maggior interesse: il complesso di eventi che si intrecciano delineando un futuro imperscrutabile che raggiunge l'attimo presente che si chiude, prima, in un passato prossimo per i suoi effetti ancora latenti e poi in un passato remoto per quelli sopiti o per quelli che si ritengono definitivamente cessati.

Pietro Bondanini
Roma, 23 ottobre 2005

 

Programma dei festeggiamenti
a Giuseppe Garibaldi - a Giuseppe Verdi - a Domenico Maria Belzoppi
 
31 Luglio
  • Ore 17 - Inaugurazione alla lapide a Domenico Maria Belzoppi in Borgo con discorso del prof. Pietro Franciosi - Parleranno anche il rappresentante del Governo del Partito repubblicano.
  • Ore 18 - Concerto in Piazza Ignazio Belzoppi.
  • Ore 21 - Fiaccolata dal Borgo al il monumento di Garibaldi in Città, preceduta dalla Fanfara, del Libero Pensiero.
1. Agosto
  • Ore 9 - Ricevimento delle associazioni nella residenza della Società Operaia e vermouth d’onore.
  • Ore 10 - Corteo al Monumento di Garibaldi ove verrà deposta una corona.
  • Ore 10,30 - Commemorazione in onore di Garibaldí e di Verdi nella Grande Aula del Palazzo Pubblico cori intervento del[' Ecc.ma reggenza - Oratore On. Innocenzo Cappa.
  • Ore 13 - Banchetto all' Albergo del Titano.
  • Ore 17 - Programma musicale eseguito dalla Banda di Serravalle sulla Piazza della Libcrtà.
  • Ore 18 - Estrazione di una Lotteria a favore della Cassa Pensioni della Società Operaia di Mutuo Soccorso nell' Atrio del Palazzo Pubblico.
  • Ore 21 - Programma Verdiano da eseguirsi dal concerto della Repubblica sulla Piazza della Libertà.


San Marino 28 Luglio 1913
IL COMITATO

N. B. La quota del banchetto è fissata a lire 3,50 - Le iscrizioni si ricevano in Città presso il Signor Odoardo Lavi o in Borgo nella bottiglieria Giacomini, non più tardi delle ore 10.

 

Cronaca delle Feste

Intervento di personaggi – Oltre la gradita presenza delle due figlie superstiti del festeggiato Domenico Belzoppi, buone e simpatiche vecchierelle, Emilia Ved. Bondanini e Tina Albini di Verucchio, oltre l'intervento dell'Oratore Ufficiale Innocenzo Cappa, che dirà il discorso commemorativo nell'Aula del Gran Consiglio la mattina del 1. Agosto alla presenza dei Reggenti e del popolo di S. Marino, è ormai assicurata la venuta fra noi in questa circostanza di altri personaggi noti nelle politica e nel giornalismo italiano quali l'On. Giuseppe Gaudenzi Deputato per Forlì e l'Avv. Giovanni Conti, i quali probabilmente dopo l'oratore ufficiale Dott. Forcellini parleranno al monumento Garibaldi la sera del 31 Luglio all'arrivo dal Borgo della fiaccolata.

Rappresentanze diverse – E’ stato diramato dal Comitato dei festeggiamenti una circolare d'invito a molte associazioni operaie e politiche dei dintorni perché queste, intervenendo con la loro rappresentanza e con bandiera, contribuiscano a rendere più solenni le onoranza che la nostra piccola Repubblica si appresta a tributare a quei Magnanimi che, assertori della libertà dei popoli, tanto meritarono della Patria e dell'Umanità.

Gradito Contributo – Ci consta che la colonia dei nostri Operai residenti a Bettlach e a Grenchen; per amore alla patria e per doveroso sentimento verso quei grandi che la illustrarono, ha mandato il suo obolo in lire 27, con questo bellissime parole d'accompagno: auguriamo buona riuscita delle feste e buone giornate di propaganda proletaria per il bene dell' amata Repubblica o dei suoi cittadini.
Quest'atto generoso serva d'esempio agli altri figli della Repubblica lontani e vicini. Noi intanto, nel prendere atto, a nome del Comitato ringraziamo i nostri buoni amici residenti a Bettlach e Grenchen, ed ispecie Giuseppe Volpini che fu l'iniziatore e il raccoglitore delle offerte.

Concerto dì Serravalle - Sappiamo di sicuro che il Concerto di Serravalle interverrà, gratuitamente domani 1. Agosto o renderà con un scelto programma, più lieta e più bella la giornata. Benissimo.


Pubblichiamo la seguente bellissima lettera inviata al Segretario dei Comitato per le Onoranze dalle egregie figlie del BELZOPPI, dispiacenti di non averla potuta inserire nella pagina dedicata al nostro Insigne Concittadino.

Ill.mo Signore

La nuova delle onoranze che cotesto benemerito Comitato ha deciso tributare al compianto nostro genitore, ci ha profondamente commosse.

É uno sprazzo di luce che viene a rompere le fitte tenebre dell' oblio, nelle quali giaceva da tanti anni un nome venerato forse da noi sole, sprazzo di luce che mentre disvela alla Patria le benemerenze di un suo figlio estinto, le scopre altri figli, che come quelli di un tempo, nutrono nel loro cuore sentimenti nobili e generosi.

L'aver poi voluto associare il nome del nostro amato genitore, a quello dei due grandi italiani Giuseppe Garibaldi e Giuseppe Verdi, oltre al far vibrare, il nostro cuore di santo figliale orgoglio, far rivivere in noi quei patriottici sensi che abbiamo ricevuti come sacro retaggio dal padre nostro.

Perciò come figlie e come cittadine sammarinesi non possiamo rifiutare l'onorifico invito e godiamo ripeterci
della Signoria Vostra Ill.ma
Dev.me

EMILIA BELZOPPI V. BONDANINI
BENEDETTA ALBINI nata BELZOPPI

Verucchio 24 Luglio 1913

Invitati dai nostri compagni del Partito Repubblicano Sammarinese, sorto non é molto rigoglioso per tralci novelli a compilare un numero unico nella solenne occasione delle onoranze che doverosamente si tributano a G. Garibaldi e a G. Verdi nonché al concittadino patriota Domenico M. Belzoppi dal Senato e dal popolo della Repubblica, volenterosi ci siamo dati al lavoro colla speranza di fare a voi tutti opera gradita. Se questa speranza sarà delusa, pazienza! noi non ce ne rammaricheremo, poiché ci conforta l'animo l'aver fatto del nostro meglio col chiamare a collaborare nel nostro "31 Luglio„ uomini già provati all'arma della penna e conosciuti nel mondo letterario e giornalistico; ai quali si devono i meriti di questo giornale ed il nostro sincero ringraziamento.

Già vediamo però errare ironici sorrisi sulle labbra di molti concittadini, dinanzi alla temerità e alla presunzione di pochi giovani, che, nientemeno, hanno preteso di costituire un partito, ma non ce neLa prima pagina del Titano 31 luglio 1913 facciano alcun caso perché conosciamo l'abitudine dei più, i quali purtroppo sono sempre soliti a Volgere in giuoco le cose anche le più serie e a sghignazzare quand'anche dovrebbesi piangere.

Un fatto è certo: i repubblicani hanno riunite le loro poche fronde e per far ciò hanno avuta piena ragione. Quale sia, che. del resto tutti devono conoscere, non è d'uopo parlarne qui, ma sarà nostro oggetto, se potremo realizzare il desiderio, che da tempo nutriamo, di fondare un periodico, dove agli amici e agli avversari politici svolgeremo tutto il nostro programma.
Ma noi, compilatori di questo numero unico, avremmo terminata l'opera nostra, altro non restandoci che affidarla al vostro giudizio, se non credessimo opportuno adempiere un dovere.

Il Partito Repubblicano Sammamarinese, che é stato l'iniziatore delle solenni onoranze ai due immortali della gran Madre Italia Giuseppe Garibaldi e Giuseppe Verdi, i quali, e ciò ridonda in gloria del nostro paese, sono nel novero dei cittadini onorari; il Partito Repubblicano che primo seppe esumare dall'oblio, in cui era stata condannata da chi aveva tratto l'interesse di farla dimenticare, la fiera figura, di Domenico Maria Belzoppi, del baldo carbonaro cui nei tempi perigliosi per l'Italia e per S. Marino bastò l'animo di salvaguardare questa e di aiutare quella, il Partito Repubblicano che tanto si è adoperato perché questa manifestazione di genuina italianità fosse resa più dignitosa dall'intervento del magniloquente Innocenzo Cappa; il Partito Repubblicano Samma-rinese, oggi, a voi ospiti gentili qui convenuti dalla forte Romagna solatia che ancora sente gli aneliti di Anita morente e lo sdegno dell'Eroe che lasciò la nostra terra ospitale per scampare dall'ira nemica, dalla Marca ,montuosa che si rispecchia nell’Adriaco mare, dall'Umbria che sui monti digradanti in cerchio ostenta intatti boschi verdeggianti da tutta Italia, a voi, come quelli che parlate la nostra medesima lingua, che avete i medesimi nostri costumi, le medesime sante tradizioni, che sentite, le stesse ansie che sentiamo voi, che palpitate per lo stesso ideale: la grandezza d'Italia, a voi tutti, ospiti cari, manda il saluto affettuoso e cordiale, manda il fraterno saluto.

E a voi giovani sammarinesi coetanei nostri, che oggi concorrete nella sala del Comune ad ascoltare il verbo del sommo oratore repubblicano, un augurio: possa la rievocazione dell'eroismo e della costanza dei Grandi che fecero l'Italia, e delle virtù dei nostri umili padri, ritemprarci alla concordia e ricordare a noi, se mai gli adulti lo avessero dimenticato, che nostro sacro dovere è di custodire dai nemici d'oltre confine e dai traditori interni questo cimelio repubblicano, pel cui valore, che noi sammarinesi non mai abbastanza sappiamo apprezzare, da tanti intensamente ci è invidiato.

San Marino 31 Luglio 1913.
Giuliano Gozi Edoardo Angeli

La lettera dell'On. CAPPA

Onorevoli Amici,

Non collaboro al vostro numero unico che con queste poche righe di saluto, che invio in attesa della cara parentesi di vita a me preparantesi in S. Marino.

Mai ora della vita internazionale fu più propizia a fare intendere come la grandezza spirituale dei popoli non derivi dall'ampiezza del territorio che essi occupano. La tesi imperialista che tanto spiaceva a Giuseppe Garibaldi, l'Eroe mite del quale parleremo insieme per dire una volta ancora grazie alla terra generosa, all'onesta Repubblica da cui fu ospitato (e sia musica la nostra parola come la poniamo sotto gli auspici di una gloria dei suoni!), la tesi della conquista, che si insanguina nei campi di Oriente, si giustificano spesso in una pretesa missione di civiltà.

Ed io che vi scrivo, signori, ho voluto talora credere a questa giustificazione. Ma quale civiltà si leva alta dal sangue fra le stragi balcaniche? Quale era la missione di civiltà nel 1849 della Francia, dell'Austria, dell'Europa intera ortodossa, allorché voi, grandi di anima in sublime picciolezza di territorio, vi preparavate ad ospitare l'Eroe, più cavallereschi della cavalleresca gente francese, più veramente cristiani che gli uomini sgovernanti col pretesto della croce?

Di ciò noi diremo innanzi alla dignità repubblicana sammarinese.

Ora abbiatemi fraternamente
Vostro
INNOCENZO CAPPA
Luglio del 1913 Milano

 

L'Eroe e la Repubblica di San Marino

Il ricordo di G. Garibaldi se vivo è nel cuore degli italiani che in Lui hanno avuto uno dei maggiori fattori della loro indipendenza ed unità, parimenti vivo è nel cuore del popolo sammarinese, non solo per un sentimento di ammirazione verso Chi, cavaliere del genere umano, esempio delle più grandi virtù, consacrò la vita tutta ad una santa causa, e per un sentimento innato di italianità, per cui considera come gloria propria la gloria d'Italia, sì anche perché mena a sua ventura e a suo vanto l'aver potuto accogliere fra le braccia e proteggere l'Eroe in un momento di suprema sventura.

Vi ha ancora in S. Marino chi fu testimone in quel dì memorando in cui Egli giunse alle mura del piccolo capoluogo della Repubblica. Lo ricordano ancora sul Suo cavallo, stanco, trafelato, palpitante, ma sempre pieno di ardimento, sempre maestoso e bello, i capelli d'oro e la camicia di sangue sfavillanti al sole, nell'atto di varcare la soglia di quel paese, che rifugio e salvezza a Lui e a quelli che lo avevano seguito doveva procurare.

Ma chi non sa quanti disagi, quante sofferenze prima di giungervi ?
Caduta la gloriosa Repubblica di Giuseppe Mazzini dopo una difesa che ci ricorda il valore degli eroi cantati dagli antichi poeti, Egli aveva dovuto lasciare Roma, eretta a dignità di repubblica da sì poco tempo, la Roma del Suo grande sogno, ed era partito con un manipolo di superstiti di quella difesa dopo aver gridato, con una speranza ancora: V'offro fame, battaglie, agguati e morte. Chi vuol mi segua.

Che importava di fame, di battaglie, di agguati, di morte a chi con Lui, sotto il suo sguardo dominatore, che dava forza e coraggio e creava gli eroi, aveva avuto la gloria di difendere l'Urbe eterna, aveva conosciute le glorie di tante giornate ? Fra quei prodi v'era fra gli altri Anita sua, v'erano Cenni, Forbes, Marochetti, il tribuno Ciceruacchio, l’eroe di Polonia Francesco Nullo, il barnabita Ugo Bassi, gente provata a tutte le sofferenze, pronta a dare la vita in olocausto a chiunque la reclamasse nel nome sacro di libertà. E tutti seguirono il Duce nel lungo e faticoso andare per valli, per colli, per monti e dirupi, attraversando paesi amici ed ostili, inseguiti, incalzati da ogni parte senza tregua dagli Austriaci fino a che sfiniti deteriorati di numero, ormai privi di viveri, sanguinanti, giunsero al monte Tassona al cospetto del Titano, la cui libera vetta al sol gioconda fu salutata da grida di giubilo e di speranza.

Oh! come bella e nitida apparia
la mole tua ne l'aria d'ametista,
O San Marino, fior di leggiadria!

La visione del Titano suggerì a Garibaldi il divisamento di cercare là su asilo e scampo per Sé e i Suoi, essendo impossibile, viste le sconsolanti condizioni di questi, proseguire la marcia, raggiungere l'Adriatico e correre alla difesa di Venezia.

Infatti le truppe garibaldine alle 8 del mattino del 31 Luglio, giorno più sopra ricordato, dopo avere l'Eroe inviate ambascerie ai Capitani Reggenti la Repubblica per mezzo del Quartiermastro Francesco Nullo e di Ugo Bassi, si trovarono alle mura di San Marino, guidate dal coraggioso artigiano sammarinese Francesco Della Balda, quello stesso che il giorno innanzi, a tarda notte, incurante del pericolo di essere sorpreso dagli avamposti nemici, aveva messo a grande repentaglio la vita, recando a Garibaldi un messaggio in cui gli venivano indicati i luoghi e il mezzo per trarsi in salvamento.

Il Generale fu accolto, in una modesta casa privata ove s'erano adunate le autorità della Repubblica, dal Reggente Domenico Maria Belzoppi, che con affettuose parole gli promise ospitalità e soccorso e l'avvertì che già aveva fatto apprestare le razioni per i suoi soldati e aveva fatto ospitare e curare i feriti.

Il Generale partiva ringraziando e prendeva stanza, ricevuto con cordialità dal Padre Raffaele da Fossombrone e da Padre Angelo da Carbonara, ex soldato napoleonico, nel convento dei cappuccini, donde lanciava un memorando proclama ai suoi militi.

All’opera generosa del governo s'aggiunse anche quella dei cittadini che, uomini e donne, senza distinzione di parte, di ceto e d'età gareggiarono fra loro nel porgere ai poveri garibaldini ogni cura, aiuti e incoraggiamenti.

Garibaldi, Anita ed altri prodi furono ospitati dal generoso caffettiere Lorenzo Simoncini, la cui casa divenne il quartier generale dello Stato Maggiore garibaldino, mentre la Reggenza veniva intraprendendo con sollecitudine e zelo le pratiche col nemico. Furono infatti inviati quali legati al generale Maggiore De Hahne il Segretario Giovanni Battista Bonelli, e all'Arciduca Ernesto il tenente Giovan Battista Braschi, che per compiere la sua delicata missione dovè affrontare non pochi ostacoli e sentì al suo ritorno fischiare e sfiorargli il capo le palle nemiche.

Le pratiche furono lunghe e condotte con tutta maestria, ma ciò nonostante fruttarono sì duri patti per Garibaldi, che questi disdegnando accettarli, pronunciate le memorabili parole “Un buon repubblicano non capitola mai” scriveva alla Reggenza che per le condizioni inaccettabili impostigli dagli Austriaci era costretto a sgombrare il territorio. Usciva poi da S. Marino di notte tempo con la guida sammarinese Nicola Zani e coi suoi più fidi, fra cui. pure Anita, che nonostante fosse oppressa dalle sofferenze della gravidanza e dalle passate fatiche, l'aveva voluto come sempre, ad ogni costo seguire riluttante alle preghiere dei buoni sammarinesi, i quali desideravano rimanesse ancora fra loro, e a quelle anche del suo biondo Eroe. Ma l'Eroe doveva lasciarla esanime poco tempo dopo nella ravegnana pineta con lo schianto ,nel cuore e senza il conforto di darle onorata sepoltura per correre alla salvezza della propria vita tanto preziosa alle sorti e alla grandezza d' Italia.

A questa grandezza della madre patria, così, contribuiva del suo meglio, con un atto generoso che poco mancò non le costasse la perdita dell' indipendenza, anche la piccola Repubblica, la quale ha saputo fare, in un momento tanto critico, quando tutti insidiavano il Duce, ciò che non volle un governo ben più forte del nostro, quale era quello di Toscana. Essa sfidò, come disse in un magistrale discorso l'Ori. Angelo Battelli, il mondo intero, sdegnando menzogne diplomatiche, cavilli procedurali e la grande ignavia dei più che non sa affrontare l'ira dei potenti e meritava sì quindi le simpatie d’ogni popolo civile e l'affetto di cui oggi l'Italia benevolmente e costantemente l'onora.

Domenico Maria Belzoppi

Domenico Maria Belzoppi nacque in questo Borgo Maggiore il 14 Novembre 1796 da saggi, onesti ed agiati cittadini. Percorse le scuole in patria sotto la guida amorosa e sapiente di quel bravo letterato, che fu suo zio, don Ignazio Belzoppi e andò a compiere gli studi secondari in Forlì dove strinse amicizia con alcuni Carbonari e novatori dell'epoca ed incominciò a cospirare con essi per la libertà d' Italia. Indi studiò all'Ateneo di Perugia, allora rinomatissimo, ed ivi si laureò con lode in Giurisprudenza nell'anno 1821.

Tornato in patria con un buon corredo di idee e di cognizioni moderne continuò a studiare e ad interessarsi delle scienze più in voga: la politica e la diplomazia, tanto da riuscire ben presto non solo forbito scrittore negl'idiomi latino e italiano, ma valoroso difensore degli orfani, degli incapaci, degli umili, degli oppressi.

Sposatosi nel 1830 con Maria Giannini, d'antico casato, donna di gran cuore e di nobili sentimenti, trovò in essa una buona compagna che doveva renderlo felice nelle varie vicende della sua vita, consolarlo in tante amarezze e cooperare seco lui alla santa educazione dei figli.

Fin da quando attendeva agli studi a Forlì e a Perugia contrasse amicizia con liberali del tempo ed ebbe stretta relazione col Maroncelli, col Bergonzi, col Zambaccari, col Renzi, col Serpieri, col Santi e con molti altri generosi figli delle Romagne e delle Marche, Carbonari prima, iscritti alla Giovane Italia poi. E in ogni moto o sollevazione delle vicine contrade, l'Avv. Belzoppi si prestò per dare asilo in Repubblica ai vinti dalla forza e dalla fortuna, ai perseguitati dalla malvagità e dalla sventura.

Figlio di libertà, non solo sentì per gli altri, ma prestò pur l'opera sua con pericolo della propria vita. Infatti nell'Agosto del 1834 partì da San Marino col servo Tamagnini Matteo con carte compromettenti, incaricato di una missione delicatissima da parte dei liberali del Riminese per quelli della Toscana. Ma una guida lo tradì - come si rileva dai documenti che pubblichiamo in fondo - e nel momento che stava per passare il confine dalla parte di Carpegna fu imprigionato e malmenato. Egli masticò le carte compromettenti senza rivelare un sol nome e senza proferire una frase.

Subì vessazioni di ogni sorta e duro carcere per sette mesi a S. Leo, a Rimini, a Forlì; ma dalla sua bocca non uscì mai una parola; e così restò salva dalla forca pontificia - imperante nelle legazioni il famigerato Tenente Colonnello Freddi - tanta parte della gioventù romagnuola. Finalmente liberato, nel Marzo del 1835, per interposizione di persanaggi influentissimi e per insistenti reclami del Governo Sammarinese, ritornò in patria fra tripudi ed ovazioni generali.

E dalla patria piccola più non si mosse, per quivi attendere alle cure ed agli affari del Governo. Eletto consigliere dopo la morte del suo genitore, fu Capitano Reggente per ben cinque volte in tempi tristi e fortunosi, e seppe superare ogni difficoltà con decoro e vantaggio della Repubblica.

Reggente la prima volta dall' Ottobre 1838 all'Aprile 1839 ottenne miglioramenti non pochi nella rinnovazione dei trattati per i sali e tabacchi col Governo Pontificio.
Nell'anno 1842, Reggente la seconda volta, da valente giurista qual'era, pensò di far riformare dal Sovrano Consiglio le leggi penali, preludendo in tal modo al famoso codice Zuppetta, e presentò una legge per l'abolizione dei fidecommissi e maggioraschi, dimostrando così che un popolo diventa prospero e felice solo quando è sorretto da leggi e da istituzioni conforme alle norme della ragione e dei tempi. Durante la suddetta Reggenza furono aggregati al Patriziato Sammarinese molti illustri personaggi dello Stato Pontificio, per salvarli dalla galera perché cospiratori e rei di volere la libertà d'Italia. In conseguenza della quale aggregazione fu fatta una legge sull'asilo da darsi agli inquisiti esteri, ossia a quei rei politici che essendo sotto processo venivano a rifugiarsi in Repubblica per non subire il carcere preventivo.

Console e Reggente per la terza volta dall'Ottobre del 1845 all'Aprile del 1846, il Belzoppi insiede col Bonelli e col Borghesi si diede più che mai d'attorno per salvare con l'asilo e col trafugamento in Toscana, dove avevano trovato una persona fidatissima, l’Avv. Ronchivecchi di Livorno, che aiutava l'imbarco dei profughi politici da quel porto per le lontane Americhe, moltissimi congiurati che fecero parte del mal riuscito moto di Rimini, senza punto compromettere la nostra Repubblica. Così operando il nostro Governo diede -il singolare esempio che con le massime dell’Umanità e della prudenza si poteva far rispettare la sventura, senza che gli Stati vicini se ne offendessero. E quante volte i Governi, Papale e Austriaco, diedero segno di aperto malcontento contro il Governo Sammarinese, questo, sempre su proposta del Belzoppi e del Bonelli, usò una doppia politica per salvare la piccola Repubblica e quei derelitti che a lei facevano ricorso. II Consiglio Principe e Sovrano per dare sfogo ai minacciati reclami dei Governi vicini faceva decreti di espulsione di alcuni Esteri, mentre poi il Belzoppi e i primari governanti ne salvavano una quantità col farli aggregare o al patriziato o alla cittadinanza sammarinese, e coll’allontanarli dal nostro territorio munendoli di fogli di via e di passaporti.

Capitano Reggente il Belzoppi per la quarta volta nel fatidico anno 1849, a lui, al compagno inseparabile G.Battista Bonelli, a G.Battista Braschi, a Bartolomeo Borghesi e ai coraggiosi popolani Francesco Della Balda, Lorenzo Simoncini, Sebastiano Mazza e Nicola Zani si dovè se l'Eroe leggendario e la sua gloriosa legione trovassero scampo a S. Marino pur rimanendo sempre salva la nostra avita libertà.

Non c'indugeremo su questo periodo a tutti noto e santamente glorioso; ripeteremo col poeta che l'ombra della nostra repubblica protesse in quel momento epico l’Eroe che affrontava i fati novi d'Italia, ed acquistò per questo il diritto alla cittadinanza della terza Italia.
E riporteremo quanto ebbe a dire lo storico Ionas, non sempre favorevole, perchè tedesco, a riconoscere i meriti della razza latina e le gesta dell' italica virtù combattente : « Grande fu il Garibaldi in quella contingenza, grande fu la Repubblica Sammarinese; e i nomi di Domenico Maria Belzoppi e di Giambattista Bonelli debbono essere incisi a lettere d' oro nei fausti della storia.”

Concluderemo col far notare che durante questa Reggenza il Belzoppi trovò tempo e modo di far riordinare il Collegio - Convitto Belluzzi e di riformare la pubblica istruzione.

Passando alla quinta ed ultima reggenza, alla Reggenza lugubre e triste del 1853, anno funesto per lotte civili e per atroci misfatti, chi tenne fermo perché la Repubblica non andasse in rovina fu appunto il Belzoppi, il quale, con sani e virtuosi propositi e con azioni. generose e magnanime, senza far uso né di ostentazioni né di spavalderie ma della sola forza morale, seppe in mezzo alle fiere tempeste condurre la nave a buon porto. E mentre la Corte di Roma avvisò che fosse giunto il tempo per annettersi il territorio nostro e convenne col Governo Toscano per occuparlo militarmente sotto mentito aspetto di ristabilirvi l'ordine, il Belzoppi e il Borghesi trovarono modo di accaparrarsi la protezione e l’appoggio di Francia, mettendo al riparo così la piccola nostra Repubblica da ogni pericolo interno ed esterno. Di qui l'invidia di pochi malevoli che presero a perseguitare l'accorto politico Belzoppi e lo costrinsero a rendersi esule dall'amata patria per il quieto vivere della sua famiglia. Non si poteva tollerare da taluni la sua primazia basata su meriti personali e sopra una sana popolarità. Si dubitò persino dell'onestà dei suoi intendimenti quando nell'anno della carestia Egli fece fare provviste di cereali all’estero con la garanzia di tutti i Consiglieri. E per quanto il suo coraggio civile non venisse mai meno e la Sua serenità d'animo sempre lo sostenesse, la sua vita si spense presto in esilio.
I patemi gli avevano guasto il cuore; e dovè soccombere il giorno 8 Febbraio 1864 nel suo solitario ritiro di Verucchio, raccomandando ai figli di amare la patria e il prossimo, ed inviando l' ultimo saluto al suo diletto nido di libertà, ove volle fosse portata la sua salma.


Dei tanti documenti della raccolta Belzoppi che in questi giorni ho potuto consultare - grazie il gentile permesso delle rispettabili signore Emilia Belzoppi Ved. Bondanini e Tina Belzoppi in Albini, uniche figlie superstiti del patriota Domenico Maria Belzoppi - piacermi riportare le seguenti tre lettere estratte ad litteram dall' archivio segreto dei Carabinieri Pontifici residenti in Rimini e che riguardano l'arresto. del suddetto patriota.

TENENTE ANDREA NICOLETTI

DEI CARABINIERI DI RIMINI

Interessa sommamente alla Segreteria di Stato (Pontificio) l'arresto del Sig. Domenico Belzoppi di S.Marino. od anche del Prof. Bergonzi che suole quest'ultimo spesso recarsi in Rimini, e sarebbe ottima cosa l'arresto di amendue.

Siccome si sospetta. che il primo debba recarsi alla volta della Carpegna, ho a tal uopo incaricato il Tenente Aloj che si dirige in incognito verso quel monte.

Per la sicurezza dell' itinerario, che il Belzoppi dovrà tenere procuri dell'opera di Luigi Ped… bene inteso che il medesimo non venga compromesso menomamente.

Potrà adunque mettersi liberamente di concerto col suddetto Tenente e procurare per quanto le sarà possibile della sicura esecuzione, andando ella con ciò a corrispondere agli inviti della lodata Segreteria di Stato; e le sono con stima,
Dev.mo Servitore
Tenente Colonnello Freddi
Forli 10 Agosto 1833

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Sig. TENENTE NICOLETTI - RIMINI

E’ qualche giorno, che io sono qui presso il monte di Carpegna, nè l'inquisito Domenico Belzoppi mi è dato di riscontrarlo. Ritengo che egli non si allontani da S. Mar... ovvero non si conosca la via, che dovrà tenere.
Procuri di rilevare da Luigi P . . . . la sicura traccia dell' itinerario e me ne dia un pronto riscontro.
Dev.mo Servitore
Tenente Aloj

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Sig. TENENTE NICOLETTI - RIMINI

L' inquisito Bel… è stato arrestato. Passi a mio nome a L. Ped… scudi 12 che le invio, addimostrandogli tutta la mia gratitudine.

Tenente
Colonnello Freddi
Forlì 30 Agosto 1833 P.F.

Lettera che inviò G. Garibaldi al Consiglio Principe e Sovrano, dopo la nomina di Lui a Cittadino Onorario

Signori Capitani Reggenti di San Marino

Caprera 1 Giugno 1861

Sono oltremodo sensibile e grato all'onore che volle farmi il Governo della Repubblica di San Marino nel conferirmi la cittadinanza Sammarinese, il cui diploma mi pervenne a mezzo dell'egregio Sig. Avv. Brofferio. Vado superbo di essere cittadino di tanta virtuosa Repubblica. Tra i molteplici tratti di generosità che la resero rispettata e benemerita nei secoli havvi quello recente, e per cui conserverò eterna gratitudine, dell'ospitalità che diede a me ed ai miei commilitoni nella ritirata da Roma nell'anno 1849. Prego loro Signori di farsi interpreti, di questi miei sentimenti presso gli onorevoli del Consiglio Generale.

Con distinta stima di loro Dev.mo
G. Garibaldi


Riproduciamo l'iscrizione della lapide a Domenico Maria Belzoppi dettata dal Dott. Onofrio Fattori, professore di Letteratura italiana in questo Liceo.

QUI NACQUE
DOMENICO MARIA BELZOPPI
CHE COSPIRANDO PER LA REDENZIONE D'ITALIA FIERO ED ARDITO SOPPORTO' PERSECUZIONE E CARCERE VALENTE GIURECONSULTO CINQUE VOLTE REGGENTE IN TEMPI FORTUNOSI IL XXXI LUGLIO MDCCCXLIX I PRODI DELLA REPUBBLICA ROMANA VINTI NON DOMI
DUCE
GIUSEPPE GARIBALDI
CON SAPIENTE ACCORGIMENTO POLITICO SOTTRASSE ALL'IRA PONTIFICIA ED AUSTRIACA ASSICURANDO CON LA SALVEZZA DI QUELLI LA LIBERTA DELLA PATRIA
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N. XIV NOV. MDCCXCVI - M. VIII FEBBR. MDCCCLXIV

°°°

L'inaugurazione della lapide, posta in Borgo nella casa ove il Belzoppi ebbe i natali, avrà luogo nel pomeriggio di oggi alle ore 5. Parleranno per i repubblicani Manlio Gozi, da cui partì la proposta di rivendicare dall' ingiusta e indecorosa - dimenticanza la memoria dell'Illustre nostro Concittadino, e il prof. Pietro Franciosi, presidente del Comitato.

Dalle memorie di famiglia di
Emilia Bezoppi

Ricordo, come cosa molto confusa, un avvenimento, avvenuto in casa nostra nella mia fanciullezza. Parmi che mi trovassi in una carrozza colle mie sorelline, la mamma ed altri. Non so perché mi trovai nelle braccia di un uomo che mi teneva sollevata in alto, come altri sollevavano le mie sorelline, in mezzo a tanti uomini che si affollavano lungo la strada e urlavano forte di gioia.

E ricordo pure che una sera, che la memoria non saprebbe collegare a quel giorno, fu in casa nostra gran festa. Le sale erano illuminate, i candelabri ardevano innanzi agli specchi appesi alle pareti. Tutte le porte erano aperte. Tanti é tanti signori e signore andavano e venivano: si mangiarono dolci, si bevvero liquori.... ecco forse il motivo che mi si impresse. Ma no: fu la ressa straordinaria delle persone che vidi in casa, e gli evviva che si facevano al di fuori, tanta gente che beveva vino e mangiava ciambelle sotto al porticato e nell'andito. Parmi ancora vedere i tanti orci di vino che dispensavano.

Nella mia piccola mente questo avvenimento s'impresse come un bel quadro o meglio coma una fotografia, e fatta grandicella ne chiedeva alla mamma che era quella sera e perché tanta gente. Ella rispondeva: ve lo dirò quando meglio potrete comprendermi.

Un giorno che il tempo era nevoso e una tramontanina che passava le vesti, ci teneva più strette attorno al tavolo di lavoro di mamma, che abitava il suo quartierino d' inverno, dopo un po’ di . silenzio saltai su a dire: Mammina ma che era quella sera lontana tanta gente in casa nostra? Perché tanti dolci, tanto vino davano a chi ne voleva?

Mamma mi guardò: ci guardò tutte che silenziose avevamo gli sguardi fissi in lei, poscia disse: Ormai siete grandicelle e gli avvenimenti della famiglia non devono restarvi celati: ascoltatemi. Era l’agosto del 1834 e babbo si recava in Toscana, dove governava come sapete il Granduca Leopoldo, con certi dispacci che dovevano restare occultava allo Stato non solo Pontificio per il quale doveva transitare, ma anche al Toscano ove l’attendevano vari amici. Quando un governo cerca schiacciare il popolo con varie imposte, con leggi umilianti, quando chiama l' intervento delle armi di altri Governi per sostenersi colla prepotenza, per farsi temere; allora il popolo cerca ribellarsi per scuotere il giogo....e congiura.

Congiura in segreto per atterrare il dispotismo, e si crea in mente un governo libero ove il popolo regni Sovrano e la libertà e l'eguaglianza rendano tutti gli uomini fratelli.

Questo era il sogno di una gioventù inesperta, ma animosa e pronta a soffrire ogni stento, ogni abnegazione pur di conseguirne il fine. Si è veduto il fiore dell'itala gioventù passare per le città carica di ferri, soffocare sotto i piombi di Venezia; poscia tradotta all'ergastolo dello Spielberg colle catene ai piedi condannata sino a 20 anni di carcere duro, lasciarvi la vita.... mentre tutte le carceri dello Stato riboccavano di prigionieri politici.

Quando vostro padre attendeva agli studi a Forlì, féce relazione con Maroncelli che era un caldo patriotta e con molti altri, e si associò ad essi. Nato in suolo libero sentì pietà di tanti infelici e per amore alla patria comune e pietà dei sofferenti offerse il suo cuore, il suo ingegno, l’opera sua. Ora esso tenevasi sicuro; pensava che -come appartenente ad altro Stato, non sarebbe tenuto in sospetto ed avrebbe potuto trattare le cose senza pericolo e senza essere osservato; ma non fu così. Un vile si fece delatore, e mentre il babbo attraversava lo Stato Pontificio passando pei monti a cavallo in compagnia di un fido colono, si vide improvvisamente sbucar d'attorno degli uomini armati, dei soldati pontifici. Non pose tempo in mezzo e colla prontezza disperata di chi vede la morte innanzi agli occhi, estrasse la carta che custodiva, se la pose in bocca e masticatala l'ingoiò.. Soprafatto dai soldati fu levato di sella, gettato a terra e colle ginocchia sul petto, forzato a rigettare la carta con tanto sforzo ingoiata! Oppose la resistenza e da quel poco che rigettò neppure un nome poterono leggere, che - se lo avessero potuto- ogni nome era una vita perduta.

Mamma si fermò per asciugarsi una lacrima e fuvvi un lungo silenzio. Ella taceva ..... forse il pianto che stava per irrompere le impediva la parola, e noi oppresse, addolorate, ripensavamo, senza osare d'interrogarla ancora.

Dopo qualche tempo riprese: lo caricarono di ferri, lo condussero al- forte di S. Leo e dopo qualche giorno passò da Verucchio in mezzo ai soldati, ove vedutolo la signorina Adelaide Ripa, calda d'amor patrio come tutta la sua famiglia ne provò tanto dolore che -- cadde a terra come morta. Poscia lo condussero a Rimini ed infine alle carceri di Forlì ove -stette sei mesi. Mie care quanto soffersi! Se aveste veduto il dolore ... la disperazione .... la confusione del fido Matteo Tamagnini nel tornare senza il suo giovane padrone! Non trovava parole, non sapeva che cosa dire e piangeva come un ragazzo. Mi sentivo spezzare i1 cuore! Eppure dovevo vincermi. Avevo i poveri vecchi genitori che al nome di carcere annettevano disonore, e li vedeva dolorare da mane a sera, non dormire la notte, non mangiare alla tavola per la mancanza di questo unico loro diletto. Mi sostenni un poco, ma finii coll'amalare tanto gravemente da essere anche sacramentata.

Il cognato Ambrogio Stagni mi consolava e il Dott. Giovanni Bergonzi buono ed ardente patriotta collegato con vostro padre mi curava e mi animava alla speranza, ed ambedue scrivevano a Domenico diminuendo lo stato grave nel quale versava per non accrescergli la pena. Finalmente cominciai a riavermi: le speranze che mi facevano concepire la sua liberazione, il desiderio di andarlo a vedere e di giovargli mi animava; e appena il potei, andai, accotnlagra1a da Stagni, a Bologna dal Cardinale Delegato ed esposi l'innocenza del mio caro Belzoppi, pregai pe' suoi vecchi genitori dei quali era l'unico figlio, per tre innocenti creature delle quali era padre.. e per me che avevo bisogno di un sostegno nel compagno che Dio mi aveva dato.

Mi rimandò alquanto sollevata avendo il permesso di parlargli alle carceri di Forlì ove andammo e presentammo al Tenente Colonnello Freddi l'ordine del Delegato.

Se volessi dirvi lo stato mio in quel tempo di aspettativa e nel tempo che fui coli esso, nol potrei! Il Colonnello restò sempre presente, avvolto in un mantello nero sembrava il genio del male teneva in mano l'oriuolo e spirata la mezz'ora accordata ci separò. Partii rammaricata di non avergli detto tutte quello che era necessario, e tutto quello che il mio cuore avrebbe voluto dirgli! Mamma si tacque e pianse alquanto in silenzio, mentre noi esterefatte non pronunciammo verbo, né battemmo palpebre.

Per quel dì e per varii altri non se ne parlò più; ma noi si cercava essere sole colla mamma per apprendere la fine di una storia che c'interessava tanto. Finalmente capitò il destro ed ella proseguì: Passarono sei mesi senza che noi cessassimo di fare ogni possibile per liberarlo; finalmente il Governo Pontificio spinto anche dalla Repubblica, che reclamava il suo cittadino, si persuase di lasciarlo in libertà, non trovando reato grave per poterlo condannare. Prima di partire dalle carceri dispensò ai carcerati i denari del vitto che gli eran dovuti, poiché esso si era sempre mantenuto del proprio, e più d'uno pianse la sua partenza, perché esso che in ultimo era libero pel recinto, ammoniva l'uno, consolava l'altro, ed era amato e rispettato da tutti.

All'arrivo di sì lieta novella la gioia c'inondò il cuore, piangemmo di consolazi-one, e coll'animo altamente commosso ci preparammo per andare ad incontrarlo.

Frattanto l’intero paese si accingeva a festeggiare il ritorno dell'amato e popolare cittadino. Si prese una carrozza ed io, voi tre piccine, l'amico Bergonzi e Stagni andammo ad attenderlo sin oltre il Castello di Serravalle seguiti da una moltitudine di amici e di popolo cui tardava il rivederlo. I vecchi genitori rimasero a casa, la commozione non permise loro di muoversi.

Finalmente apparve: fu un grido unanime di viva Belzoppi, viva il nostro concittadino ...... ci è ridonato ...... sempre con noi.... Poi taluni più affezionati levarono voi di carrozza e sollevandovi sulle braccia al di sopra della folla gridavano: eccole eccole Belzoppi, le vostre figlie, le vostre creature! Intanto i due legni si avanzarono lentamente l'un verso l'altro, e fuvvi chi voleva staccare i cavalli e tirare a braccia. Lo stato mio non saprei dirvelo! Il babbo vostro poté salire con noi, mentre Bergonzi e Stagni occuparono l'altro legno. Oh i poveri vecchi per chi li ha mai visti! Che scena commovente e straziante!...

Alla sera fu una festa generale: tutti volevano vedere il prigioniero della polizia papale, abbracciarlo e parlargli. In casa si fece serata, si passarono dolci e liquori e tutti quei signori e popolani che vennero a trovarlo, mentre sotto il portico e nell'andito si dispensavano vino e ciambelle a tutti quelli che si affollavano attorno alla casa e battevan palma a palma.

Eccovi, mie care, la spiegazione delle riminiscenze confuse di vostra mente delle quali più volte mi chiedeste schiarimenti. Poco dopo il povero nonno Vincenzo fu colpito d'appoplessia che si disse causata dalle emozioni provate.

Povero vecchio! aveva resistito al dolore, nol poté alla gioia ......

 

Il Reggente Belzoppi

(dal discorso del Prof. Franciosi)

Mortogli appena il padre nel 1831, il Consiglio Principe e Sovrano si affrettò nominarlo suo membro e ad affidargli più delicate mansioni ed i più gravi uffici.

Così incominciò la seconda parte della nobile esistenza che seppe condurre a compimento come una nuova missione e un dovere nuovo. Perocchè Egli fu una di quelle anime complesse ciecamente dotate della più alta umana pietà. Il nostro paese era più che mai rifugio di emigrati politici.

Di questi ve ne erano di due sorte: dei dotti e degli onesti, degli ignoranti e omicidiari. La casa Belzoppi, per i precedenti storici di Domenico, e per la speciale cortesia, incominciò ad essere il ricetto dei primi, perchè era aperta ad essi coll’espansione dell’ospitalità che cerca lenire al povero proscritto, i dolori dell’esilio. Un’aura di democratica fratellanza spirò adunque per molti anni in quel salotto dove si parlava degli avvenimenti politici, delle rinascenti speranze, e dove si passavano le più belle serate allietate dalla gentilezza e dalla bontà. In quante lettera dei proscritti, ritornati in patria, si rammenta con affetto questo ameno soggiorno ......

Ma venne il tempri che il mazziniano Belzoppi dalla teoria dovè passare alta pratica, dall’idealismo alla realtà.

Nel settembre del 1838 fu designato per la prima volta Capitano Reggente. Allora alla sincerità del patriottismo cercò di accoppiare l’abilità politica, nella quale diede sempre luminose prove nel ben trattare le cose sia interne che esterne.

Noi sappiamo come sia difficile reggere le sorti di una piccola repubblica dove il popolo pretende. dai capi sempre più di ciò che possono fare. Io non nego solere talora avvenire che facciano meno di quel che dovrebbero, e che forse in alcuna cosa s’ingannino.

Ma se i mezzi sono scarsi anche l’azione governativa è lenta e ristretta, o talvolta nulla, donde nascono giudizi avventati ed erronei perciocché ciascuno di noi sa che chiunque qui salga alla Magistratura suprema, fosse anche uno dei più celebrati politici, è costretto di regolare l’azione governativa giusta la durata del suo ufficio, giusta i costumi di questa popolazione e la copia dei mezzi che il paese somministra. La onde nelle reggenze di Domenico Maria Belzoppi non ci possiamo aspettare fatti straordinari, benché Egli abbondasse di quel senno pratico che si richiede a reggere lo Stato, e ardentemente desiderasse di migliorare le condizioni della sua patria. Però, dati i suoi precedenti storici e la sua cultura, da lui si pretese più dell’usato; per cui nacquero conseguenze non liete come vedremo più avanti. La stessa Musa del tempo rappresentata dall’abate Antonio Papi ne cantò le mirabili gesta che Egli sgombro di ogni vil temenza e fornito di acuto senno e di civil prudenza doveva appunto operare.
E noi toccheremo i principali fatti delle sue cinque reggenze e dimostreremo quali furono i concetti fondamentali che ne dominarono la vita pubblica.

Reggente la prima volta (dall’ottobre 1838 all’aprile 1839, cercò di consolidare l’indipendenza della Repubblica col promuovere trattati coi vari governi italiani e ottenne miglioramenti non pochi anche a vantaggio della finanza pubblica nella rinnovazione della convenzione per i sali e tabacchi coi governo del Papa. Persuaso Egli, data la nostra piccolezza e la niuna forza materiale, che la nostra esistenza dovesse ricevere un appoggio dalla forza politica, si adoprò a tutto potere di ricomporre ad accrescere una cotal forza. E ciò torna ad onore del suo grave e perspicacie giudizio, per quanto l’esperienza avesse già provato che ogni volta che la forza politica si era lasciata qui illanguidire o cadere, lo Stato n’aveva ricevuto grandissimo detrimento.

Dall’Aprile all’ottobre 1842 fu Reggente per la seconda volta col grado di nobile conferitogli ne1 1840 per le sue qualità personali, e da valente giurista qual’era pensò di prevenire i delitti migliorando le leggi ed accrescendo la forza morale della punitiva giustizia.

Le sue proposte riforme alle vecchie leggi penali preludevano così al famoso Codice Zuppetta, e il decreto per abolizione per l’avvenire dei fidecommessi, veniva a rendere sempre più umani i rapporti della famiglia a sostegno della tesi che un popolo è prospero e felice quando è retto da umane leggi e da libere istituzioni regolate secondo le norme della ragione e dei tempi. Durante questa seconda sua reggenza furono aggregati al patriziato sammarinese molti illustri personaggi dello Stato Pontificio per salvarli dalla galera perché cospiratori; e fu fatta una legge sull’asilo da darsi agli inquisiti esteri che erano sotto processo e che venivano a ricoverarsi in Repubblica per non subire il carcere preventivo. Durante l’istruttoria poi, quelli che avevano la previsione di essere condannati, si- cercava di mandarli in salvo in America per la Toscana dove vigeva un governo più mite e dove si trovava l’Avvocato Ronchivecchi, cittadino onorario di questa Repubblica, residente in Livorno, che si prendeva cura del loro imbarco. Va pure ricordato come in questo semestre venisse inaugurato nella Pieve - auspice il Belzoppi - il marmoreo monumento ad Antonio Onofri padre delta Patria con la speranza forse che quella severa effige potesse di continuo richiamare al dovere i cittadini traviati o ribelli. Fu in questa occasione che Antonio Papi dedicò un mirabile sonetto al Reggente Belzoppi dicendolo di acuto ingegno di vigile prudenza e di saldo cuore, che molti e grandi servigi prestò alla Repubblica da essere paragonato al suo primo nocchiero Antonio Onori.

Reggente per le terza volta dall’Ottobre 1845 all’Aprile 1846, si diede attorno più che mai senza punto compromettere la nostra indipendenza per salvare coll’asilo moltissimi di quei congiurati che avevano preso parte al mal riuscito moto di Rimini. Fu in questa contingenza che i Sammarinesi trovarono tempo e modo di ospitare quella turba sventurata di esuli seguaci di Livio Zambeccari e di Pietro Renzi, che invano cercavano di iniziare la rivoluzione italiana, con parziali moti da Bologna a Rimini. E’ appunto in quel tempo che il Nizzardo Ribetty, il romagnolo Costa, i riminesi Serpieri, Lettimi e Santi - quest’ultimo intrepido compagno di Giuseppe Mazzini nella fondazione della Giovane Italia - vennero a fondere in un nascondiglio di questo Borgo, palle e munizioni per l’insurrezione riminese. Per cui il nostro governo tormentato di continuo dal cardinal Gizzi prolegato di Forlì, il quale pretendeva la consegna dei profughi, dové giuocare una doppia politica; per salvare lo Stato contro 1e minacce dei governi pontificio ed austriaco si fecero dei decreti di espulsione di alcuni esteri, mentre d’altra parte dal Reggente Belzoppi e da altri primari cittadini si riempivano le case di questi profughi inquisiti politici, se ne aggregavano molti altri patriziato ed alla cittadinanza, ed altri si allontanavano a mezzo di passaporti e fogli di via attraverso la solita Toscana, e si facevano imbarcare a Livorno per la Francia e l’Inghilterra in attesa di migliori eventi. Se non ci fosse stata un’azione concorde di governo e di popolo questo glorioso fatto che fece meravigliare lo stesso Massimo D’Azelio nel suo scritto “Gli Ultimi casi di Romagna” non si sarebbe davvero avverato. Da tutto ciò chiaro apparisce non solo la sapienza civile con cui il Belzoppi coadiuvato dall’esperto Segretario di Stato Giambattista Bonelli, regolava le pubbliche faccende ma ancora l’amore grandissimo onde erano accesi questi due egregi cittadini verso la loro terra natia. E non solo l’amavano essi, ma procuravano di farla amare dagli altri specialmente dagli esterni; ond’erano laboriosissimi nel procacciarsi a tener vive le relazioni al di fuori ; e le avevano nelle città dello Stato pontificio e nei ducati, e nel regno di Napoli e nel Lombardo Veneto ed in Toscana; delle quali relazioni si giovavano per acquistare protezione a favore di questa Repubblica. Perocchè devesi pur considerare, che nei gravi frangenti, in cui essa talvolta si trovò, non poco contribuirono a conservarla immune da ogni grave pericolo, le pratiche e gli uffici autorevoli di cittadini emeriti che contava all’estero.

Console Reggente il Belzoppi per la quarta volta nel fatidico anno 1849 allorché, per dirla col Poeta, 1’Italia antica e la moderna battevano alle nostre porte; allorché quattro eserciti inseguivano e stringevano l’Eroe; allorchè i suoi legionari sfiniti dalla fame e dalla fatica, dimandavano pane e un po’ di riposo, e qui sul nostro suolo deponevano le armi, e qui cessava la prima guerra dell’indipendenza; chi di voi non sa Egregi Cittadini qui convenuti per onorare la memoria di quel Reggente che seppe appunto sottrarre dall’ira pontificia ed austriaca i prodi della gloriosa repubblica Romana vinti e non domi assicurarono colla salvezza di quelli la libertà del nostra Patria, chi non sa, dico, che come operasse il nostro governo grave circostanza?

E chi non sa che il merito precipuo così saggia politica fu opera del Belzoppi del Bonelli, del Borghesi,del Belluzzi e di altri maggiorenti coraggiosamente coadiuvati da intrepidi popolani che col sacro dovere dell’asilo loro salva l’eterna nostra libertà? O ci basta ricordare lo spartano saluto cui il Reggente Balzoppi accolse 1’Eroe; “Ben venga il rifugiato, questa terra ospitale vi riceve, o Generale, sono preparate le razioni poi vostri soldati, vostri feriti saranno curati; voi ci dovrete il contraccambio risparmiando questa terra temuti mali e disastri.”

I fatti non smentirono le oneste parole del Reggente galantuomo, dietro l’esempio tutta la popolazione si diede torno perché l’ospitalità riuscisse perfetta.. Questi nostri luoghi oltreché darvi le sofferenze di Anita e il furore dei rimasti, ci rammentano le ambasciate fatte fare dal Belzoppi a mezzo del Bonelli e del Braschi per ridurre a più miti consigli gli Austriaci invasori del nostro territorio, la consegna delle armi qui depositate, gli aiuti di passaporti e di denaro, il passaggio dell’arciduca Ernel, le trattative col medesimo compiute per questa casa mentre nei nascondigli da medesima si tenevano occulti i ricercati a morte dal governo teocratico, gli ultimi avanzi della gloriosa Costituente romana, le ultime voci della patria morente. Oh! Rammentiamoci quei nomi indimenticabili: Allocatelli di Cesena, Pettini di Forlì, Guiccioli di Ravenna, Colocci di Iesi, Savini e Venturini di Bologna, Manfredini di Modena, Giovanni Erguaz dell’isola del fondatore della nostra Repubblica, Zavoli di Rimini, Mariani di Sogliano, Ripa di Verucchio.

La soluzione non era facile in così gravi contingenze della patria nostra se al governo della medesima non ci fossero stati uomini quali veramente erano.

Lasciamo il giudizio ad uno storico di quella fazione che non sempre giudicò a dovere gli eroismi di Giuseppe Garibaldi e i fatti storici del Risorgimento Italico. Dice il Tedesco Jonas: “Grande fu Garibaldi in quella contingenza, grande fu la piccola Repubblica Sammarinese, e i nomi di Domenico Belzoppi e di Giambattista Bonelli possono essere e incisi nei fasti della storia».

Durante questa quarta reggenza fu riordinato il Collegio Belluzzi e furono riformate le pubbliche scuole coll’aggiunta di nuovi insegnanti in modo che l’istruzione riuscisse più ampia e più agevolata; e più profondo e meglio disciplinato fosse il sentimento nell’animo dei cittadini. Così pure durante questa reggenza - dopo la burrasca garibaldina - fu dimandato appoggio e protezione- alla più grande delle re-pubbliche: gli Stati Uniti d’America, a mezzo del suo rappresentante in Roma per rafforzare la nostra indipendenza che aveva corso grave pericolo di fronte alle pretese austriaco papali.

Il Belzoppi fu Capitan Reggente per l’ultima volta nel 1853 nell’anno funesto per lotte civili e per atroci misfatti. Dietro il lacrimevole caso del segretario Bonelli, il Belzoppi. con l’aiuto e col consiglio dell’illustre Borghesi mostrò animo invitto e risoluto tanto che, fattosi come centro dell’azione governativa, potentemente si adaprò affinché la Repubblica non precipitasse in più terribili disastri. La corte di Roma avvisò che fosse giunto il tempo per annettersi il territorio nostro e convenne col governo toscano per occuparlo militarmente sotto mentito colore di stabilirvi l’ordine. Il ricordo dell’invasione austro-papale del giugno 1851 era troppo recente. Il Belzoppi era troppo geloso dei patrii diritti; e sebbene tenesse ancora ospiti in sua casa alcuni liberali delle Legazioni Pontificie, fu d’avviso, al sopraggiungere in Repubblica di emigrati tristi e malvagi, di limitare -il diritto di asilo a chi realmente lo meritasse. Ore ci per scongiurare la minacciata invasione, seppe col Borghesi ricorrere al governo di Francia e procurarsi quella protezione. quella forza morale tanto necessaria a tener alto il prestigio della piccola Repubblica, salvaguardandola dai nemici interni ed esterni; di qui l’invidia di pochi e malevoli che presero a perseguitarlo; di qui gli odii e i livori di certi perpetui ringhiatori di libertà. Alcuni demagoghi di corte vedute latrarono che Domenico Belzoppi, di conserto con altri primari cittadini, minasse la repubblica. La mala voce si sparse presso il popolo minuto con libelli anonimi e con beffardi irrisioni. Si mise in forse l’onestà dei suoi intendenti, anche perchè, infierendo in quell’anno la carestia, fece fare provviste di cereali all’estero colla-garanzia personale di molti consiglieri.

Tanto che offeso e amareggiato fu costretto, appena uscito di reggenza. andarsene esule per il quieto vivere della famiglia, ritirandosi a vita privata nella sua villa di Verucchio. I più continuarono ad amarlo e a stimarlo sebbene lontano perché conoscevano qual fosse stata la sua condotta nelle pubbliche e private faccende e quanti dolori avesse dovuto soffrire per la giustizia e per la libertà. Ma nulla valse a calmare là furia del vento contrario, non il tesoro i tanti meriti di lui, non il tesoro delle sue civili virtù.

Autodifesa e testamento politico del patriotta Belzoppi

Per stare alle promesse fatte eravamo ben disposti a scegliere nel carteggio Belzoppi - accresciuto di pregio e di numero in questi giorni mercé la valida cooperazione dei Distinti Signori Odo e Ugo Sabolini di Rimini, Eredi del Belzoppi - i migliori documenti che interessar potessero la storia e la cittadinanza sammarinese.

Ma data l'indole del nostro Giornale politico-amministrativo, esaminata la faraggine delle carte di cui é ricco il periodo storico del Belzoppi abbiamo rinunciato all'ardua impresa anche per non togliere i1 succo di verginità ad una ricca messe di documenti inediti e di notizie storiche originali che il nostro prof. Franciosi va raccogliendo da circa 20 anni con quell’intelletto d’amore che lo distingue dagli altri studiosi delle cose nostre. Li leggeremo e li gusteremo più di buon grado quando il Franciosi avrà pubblicata la monografia Patriotti Sammarinesi e profughi Politici in Repubblica durante il Risorgimento da tempo promessa alla Società Storica del Risorgimento Italiano.

Pertanto ci contentiamo oggi di pubblicare, e di finire con questa Autodifesa e Testamento politico del Dott. Domenico Maria Belzoppi, da cui v'è tanto da apprendere anche ai tempi che corrono. per mettere sulla vera, via la Repubblica nuova cognata prima di noi dal suddetto patriotta. E pur sempre vero il detto: che i geni in politica intravedono e precorrono la modernità.

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Sua Eccellenza il Generale Consiglio Principe della Repubblica di Sammarino - Istanza del Cittadino Domenico Maria Belzoppi.

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Eccellenza,

Quando potenti ragioni, già altra volta all'Eccellenza Vostra significate, inducevano il sottoscritto a rinunziare agli alti Uffici del Governo, e a cercare nella solitudine di una terra non sua la personal sicurezza che nella propria gli veniva meno, (colpa di tempi pessimi e travolti, e della imperfezione dei mezzi atti a governare vigorosamente, giustamente e con verità il paese nostro) sarebbesi potuto immaginare, che certe passioni a lui avverse, avessero alla perfine trovata lor posa; se non che invece di quetare, queste hanno ribollito più irose di prima. E non bastava la morte politica del sottoscritto; che movendo anche all'assassinio di sua vita civile, tentarono rapirgli quello splendido patrimonio dell'uomo nella sociale convivenza, che riposando nella purezza delle sue azioni, gli assicura il nome di Cittadino onorato e dabbene, e di suddito fedele ed ossequente alle leggi, e gli porge il conforto della pubblica estimazione.

Or bene: Allorché, non ha molto, giungeva in Sammarino il Conte Baude addetto all'Ambasceria francese in Roma, e visitava il nostro Governo per informarsi, dicesi, in quali condizioni versava; giacché i fatti violenti e sanguinosi degli ultimi tempi potevano aver sembianza di commozione politica, o di un avviamento a quella, certi uomini del mistero prendevano occasione da ciò di subito alzare fra le tenebre la loro voce e gridavano da per tutto al tradimento; sacramentavano la venuta del Conte Baude opera di nequitose macchinazioni ; e bandivano, senza rincorso, pernio della congiura il sottoscritto ; lui, motore dell'iniquo progetto che doveva far schiava la patria messa in vendita allo straniero.

Ma per convinzione ch'ei s'abbia di soprastare ai nemici che lo guerreggiano; pur tuttavia oggi non gli é dato dissimulare la gravissima accusa: e meglio si torrebbe la morte sotto il coltello del sicario, quando fosse certo di lasciare il suo nome onorato, piuttosto che tenere la vita coll'infamia del tradimento.

Questa infamia non può, né deve pesare sul capo del vostro cittadino; a cui vorrete anzi Voi stendere la mano del soccorso per un atto di giustizia ove deve purgarsi l'onor suo vilipeso: l'onore di quel cittadino il quale s'ebbe già tante volte, sebbene immeritata, la vostra fiducia;
e che in mezzo al turbinio delle Reggenze che sempre difficoltò il cammino del suo governo, avete visto ognora inteso a far rispettata la vostra dignità: a custodire illesa l'indipendenza della Repubblica: a rassettare e migliorare le relazioni internazionali, affine le prestassero un più fermo appoggio: a fare che il diritto di asilo fosse regolato, perché non si convertisse in interno ed esterno pericolo: e che all'ora del pericolo più fiate soprastante, più pensieroso d'altri che di se stesso, avete trovato sempre pronto a scongiurarlo;
non meno che alacremente studioso a rimuovere le cagioni, onde il popolo non si avvelenasse alla scuola perturbatrice delle dottrine antisociali.

Le quali poi, per mala nostra sorte, non avendo trovato un argine costante al dilatarsi, riuscirono da ultimo a far rovesciare il principio d'autorità nel governo, e gli tolsero la forza morale che sola valse per secoli a reggere tranquillo un popolo innocente, costumato e patriotta. Ed ora al piccolo Stato per condizione di vita non resta che da crearsi un nuovo principio di potenza nella forza materiale: la quale alleata colla giustizia dovrà quindi innanzi restituire al Governo la libertà delle proprie azioni, e, sopraveggiando ogni istinto malvagio, comprimerlo; e farsi scudo contro ogni misfatto, contro ogni fazione.

Ma più che al passato, ama il sottoscritto di affidare la propria giustificazione al presente: cioè alla pubblicità di un processo che invoca; e che Voi, o Eccelso Consiglio, vorrete degnarvi di ordinare ai Ministri dei vostri tribunali. La notorietà dell' accusa dispensa il sottoscritto da ogni cura di farla testimoniare: giacché la Polizia giudiziaria non potendo non sapere quello che nessuno ignora del pubblico strazio della fama di lui, deve aver già presta materia all'inquisizione, come ad ammettere il giudizio di diffamazione.

Egli è in questo Giudizio, che il vostro cittadino entra per primo. e si costituisce Reo volontario, chiedendo che con pubbliche grida si chiami chiunque del popolo ad accusarlo, se può, o a denunciarlo anco per le vie del segreto, come traditore. Egli è in questo Giudizio che offre spontaneo la persona propria alle miserie eziandio della custodia pubblica, se questa é necessaria, e ove andrà, ad ogni vostro cenno da cui dipende, a collocarsi. Questo giura, che farà, innanzi a Dio: questo giura e promette di mantenere sull'onor suo. Sicuro nella propria coscienza nulla teme; e non ha sacrificio a cui volonteroso non si sobbarchi: perché sa, che nella prova che vi domanda, deve la calunnia andar svergognata, e il nome di lui uscir sempre senza macchia e senza infamia.

Piglio della terra privilegiata e diletta che lo vide nascere egli si sente profondamente scosso dell'animo alla vista dei mali che l' affliggono : e questo stato di angoscia non ha ristoro, che nella speranza di veder risorta la patria, e cessate le sue disgrazie.

E certo questa cara speranza passerà nel dominio della realtà. Quando innanzi tutto trionfando il Governo di resistenze troppo radicate nel personale interesse potrà una volta asseguire mezzi economici pari ai bisogni della nuova condizione politica e morale del paese: e, cessando di essere in balia del caso, potrà andar riformando ogni ordine di amministrazione guasto da antichi vizi, o reso insufficiente al proprio fine:

  • quando restaurato, sovra ogni altro, l'ordine dei Criminali Giudizi, e accomodate le leggi, e fatta impossibile l'impunità dei delitti, questi Giudizi saranno divenuti una certezza di guarentigia alla vita e alle proprietà dei Cittadini, e così sarà tolta la vergogna di sentirsi più a cognominare una beffa:
  • quando le massime direttive della politica interna ed estera cesseranno di essere personali, mutabili ad ogni passar di Reggenze, incerte e contradditorie; ed il Governo s'avrà una politica ferma e tutta propria; ossia quella che debba unicamente derivargli dalla sapienza del Principe:
  • quando una nuova legge sarà fatta sulla responsabilità dei vostri Rappresentanti:
  • quando i diversi elementi che vi costituiscono, o Eccelso Consiglio, in Corpo Imperante, potranno conservarsi colla forza e colla virtù che è loro ingenita, e starsi in armonia; e le varie sorgenti d'onde si attingono non saranno lasciate annientare; sicché il Governo possa tenersi nella forma protettrice della sua esistenza politica:
  • quando il nostro popolo meglio educato nella sua intelligenza, nella morale, e nella religione verrà di siffatto modo a spogliarsi delle abitudini antieconomiche che lo stringono alla miseria e alle disorbitanze che l'accompagnano:
  • e i doviziosi meglio veggenti, lasciando di tesoreggiare solo a se stessi per affetto di veder crescere oro entro i forzieri, o moltiplicare i quadrati delle loro terre, s' avranno impulso a convertire i loro capitali in azione veramente produttiva del bene sociale, e specialmente in profitta della particolari necessità della Repubblica, fra le quali sta in capo quella di favoreggiare l'industria, perché all'indigenza non manchi il pane del lavoro:
  • quando lo spirito pubblico, già tralignato e omai smarrito, vedrassi novellamente a rinascere, e i cittadini uniti della volontà e dell'opera avranno conosciuto, che uno solo é l'interesse supremo che debbono curare e difendere:
  • vale a dire quello della conservazione e della felicità della Repubblica:
  • e che per abbandonarlo si chiamano sulla patria le più fiere procelle, e le si apre il mare delle sciagure.

In questi voti, e in più altri di pari affetto che non descrive, é la storia dei sensi del sottoscritto verso la Repubblica: e Dio voglia, che, se liberamente li espresse, non abbia peccato per manco di ossequio. Egli fu però ben lungi dal voler nulla dettato al vostro senno che tutto conosce, e a tutto provvede. Il perché la narrazione dei mali della patria, e l'ardenza del desiderio mostrato di vederli riparati, altro non possono essere in faccia a Voi, che un atto significativo, che il vostro Cittadino non vuole la morte, ma la vita sì, la vita della Repubblica.

Egli l'amò perseverante e l'amerà intensamente; e questa per lui religione di amore, e la fede giuratale lo seguiranno sino al sepolcro. Benché calunniato da oltre vent' anni e cercato a morte più volte per servire la patria, e col cuore che gronda ancor sangue sotto le ferite di fresche e crudeli imputazioni, pur non sia mai, che torni coll'animo alieno da lei, né da Voi. Il suo primo ed ultimo prego sarà sempre la salvezza del loco natìo: la sua invocazione il grido di : viva la Repubblica di San Marino eternamente salda, eternamente fausta - quello di viva la sua perpetua libertà eternamente santificata dalla concordia; eternamente santificata dalla giustizia.

Ora é di Voi, o Eccelso Consiglio, e della somma vostra rettitudine, non degli alti doveri che v'impongono la tutela dello Stato, e quella delle ragioni individuali, il fare, che la condotta politica del vostro cittadino sia ben scrutinata nella pubblicità del Processo che vi ha domandato ; il quale mentre che farà conoscere a tutti di aver raccomandata la pubblica difesa, darà a divedere altresì, che Voi prestate un pubblico mezzo di riparazione alla fama oltraggiata

del vostro fedelissimo suddito
Domenico Maria Belzoppi
Di Verucchio 14 Dicembre I854.
Letteratura garibaldina sammarinese
(UN LAVORO POETICO ED ALTRI SCRITTI IN PROSA SU L'EPISODIO DEL 31 LUGLIO 1849)

L'episodio dello scampo di Giuseppe Garibaldi in San Marino nel '49 è una delle più gloriose pagine degli annali sammarinesi e fu ed è tuttora oggetto di considerazione e di studio a non pochi cultori delle discipline letterarie e storiche. Della congerie di pubblicazioni in prosa e in poesia, segnatamente in quelle comparse oltre che su periodici locali, su quotidiani e riviste dell'Italia e dell'estero, ben poche sono che meritano di essere ricordate ed encomiate, ma queste poche sono assai interessanti per fedeltà di particolari e per esumazione di documenti i quali erano a molti, se non a tutti, ignoti.

Il Franciosi, in un lavoro che fra breve avremo occasione di notare, scrive «Pochissimi fra i molti che hanno cantato con una prosa in poesia o con una poesia in prosa intorno a questo fatto, hanno seguito la verità. Ben sessantacinque panegiristi ho potuto enumerare, e per quanti ne abbia osservati, ho constatato che tutti hanno scritto senza cognizioni di fatti, non immuni da esagerazione e con poco fondamento e rigorosità storiche. Migliore degli altri forse sarebbe Oreste Brizi, aretino di nascita e patrizio sammarinese, che scrisse e fece stampare in Montepulciano -nel 1850 un opuscolo intitolato - Le bande Garibaldiane a San Marino - se avesse parlato senza spirito di parte ed avesse fatto miglior uso di documenti ».
Ma il Brizi non poteva altrimenti scrivere se si considera che poco sentimento di patriotismo possa avere allignato in chi si mostrò asservito al dispotismo del Granduca di Toscana, come dice lo stesso Franciosi, e troppo riverente al governo pontificio.

Da quelli che furono detti poco ligi alla verità storica si deve escludere il Ranalli, autore di. una Storia dal 1846 al 1853.

Abbiamo detto però che fra tanti che parlarono su l'episodio sammarinese dell'epopea garibaldina ve ne hanno alcuni meritevoli di ogni elogio; tacendo dei più illustri, il Carducci e il Pascoli, che sui rispettivi discorsi - La Libertà perpetua di San .Marino - e A gloria di G. Garibaldi e di G. Carducci - rievocarono brevemente sì, ma con parole memorabili, tale episodio, onorando la Repubblichetta che seppe riserbare a migliori destini la vita sacra del Duce, potremo affermare che il nostro Marino Fattori, letterato insigne di chiara e pura forma e non mai abbastanza compianto maestro della gioventù studiosa della Repubblica, primo dei sammarinesi degnamente illustrò l'episodio stesso nei - Ricordi Storici - lodatissimi, oltre che da altri eminenti scrittori, dal Tommaseo e dal Carducci, che li chiamò sobrii, pieni, classici.(1)

Piacemi accennare poi al volumetto di Antonio Modoni - Sul Titano (2) - di non lieve entità per certe notizie e aneddoti, appresi senza fronzoli rettorici e pieni di originale semplicità dalla viva voce del popolo e di chi, anche, fu testimone oculare e prestò in quella circostanza l' opera sua. Così lo stesso Modoni : « Negli annali contemporanei questa pagina storica va registrata fra le più belle ed onorevoli della Repubblica di S. Marino. Convinto che le azioni generose non siano mai bastevolmente ricordate, credo di fare opera non del tutto vana soffermandomi minuziosamente su codesto episodio, forse anche più di quanto sarebbe permesso alle proporzioni del mio lavoro. Tutte le volte che, io fui alla Repubblica interrogai persone, visitai luoghi, consultai scritti, ed ecco in breve la somma delle mie ricerche relative a fatti quasi del tutto ignorati e mal riferiti che costituiscono la parte storica e aneddotica più importante di questo libro. »

Una monografia ben sentita e ben condotta, al dire del Carducci, scrisse il dott. Pietro Franciosi, già ricordato, dal titolo - Garibaldi e la Repubblica di S. Marino(3),che molto interessa per le numerose documentazioni, su cui interamente poggia, rilevate dal nostro ricco Archivio e per le ponderate e giuste considerazioni che l'Autore ha sull'avvenimento. Tutti, anche i più minuti particolari, gli ordini del giorno, i carteggi ecc. non mancano in quest'opera in cui l' autore ha inteso di dare al lettore un' esatta e minuta conoscenza dell'episodio in tutto lo svolgimento, in tutta la sua vera essenza, ond'è dico il lavoro del genere più compiuto e più minuziosamente elaborato.

Meritevoli d'encomio sono pure due altri scritti dello stesso Franciosi - Il 50° anniversario dello scampo di Giuseppe Garibaldi nella Repubblica di S. Marino - Discorso(4) - e la Repubblica di S. .Marino nel Risorgimento Politico(5), memoria, quest ultima in cui il Franciosi tratta del contributo che sempre diede la Repubblica alla causa del riscatto italiano, sia col dar rifugio e salvezza, oltre che all’Eroe e alla sua legione, a tanti perseguitati politici della dominazione papale e austriaca, come, per tacer d'altri non pochi, il Delfico, il Borghesi, il Montalti, il Fabbri, il Zuppetta, sia per aver dato anch' essa, per tre volte, il suo modesto contributo di militi alle battaglie dell' indipendenza.

Non va dimenticato anche l' opuscolo(6) di Lorenzo Simoncini, l'intelligente popolano che ospitò sotto il suo tetto l'Eroe, Anita, Ugo Bassi ed altri garibaldini, il quale opuscolo, per quanto scritto in una forma non sempre corretta, pure attrae per la schietta semplicità, per la nobiltà del sentire che l'autore addimostra e per i fatti scrupolosamente conformi a verità.

Vi hanno poi la - Ritirata di Garibaldi da Roma nel 1849(7) - elaborata narrazione su documenti inediti e rari di Raffaele Belluzzi, la «Commemorazione di Garibaldi», tenuta in S. Marino da Luigi Amaduzzi il 31 Luglio del 1904(8), elevata per concetto e per la forma sentitamente poetica, e il discorso(9) davvero smagliante detto dall'On. Angelo Battelli nell' Aula del Consiglio Grande e Generale, alla presenza dei Supremi Magistrati e del popolo il 31 Luglio 1907, nella ricorrenza delle solenni onoranze tributate, unitamente ad Anita, all'Eroe nel Centenario di Sua nascita.

°°°

Ultimo scritto, che dagli altri da noi notati completamente si distacca perché in forma poetica, e sul quale vogliamo alcun po' intrattenerci, é la Canzone Garibaldina - In Republica bona(10) - la quale si compone di diciotto sonetti, in cui l'autore, il Dott. Giuseppe Mastella, compendia tutto l' episodio e ce lo fa ammirare attraverso la rappresentazione fedele dei personaggi e lo svolgimento degli aneddoti con una proprietà di stile e una vivezza d' immaginazione e di colorito che non facilmente rinveniamo nella faraggine di scritti che la nostra letteratura ogni giorno si crede in diritto di darci.

Il Mastella, in una nota posta in fine della canzone, dice che uomini e fatti da lui ricordati sono, tranne il vecchione del quinto sonetto, veri e presenti nella storia e nella meritoria del popolo sammarinese.

Noi non ci soffermeremo su tutti i diciotto sonetti, come sarebbe doveroso per il merito indiscutibile di ciascuno di essi, poiché ciò non mi permettono e l'indole del mio scritto, il quale avrebbe voluto essere una rapida rassegna bibliografica, e lo spazio di questo numero unico.

Il primo personaggio, che ha avuto parte nell'avvenimento, ci è presentato nel I. sonetto « Il rifugio ». E’un frate, Padre Raffaele da
Fossombrone
, vissuto; come ricorda anche l'A, in concetto di santità.

Scoppiaran senza tregua le granate
Imperiali:'-il tuono, la rovina
Mortal fugata su per la collina
Del Ghiandaro le genti sparpagliate.

Queste genti già stavano meditando la resa, quand' ecco

. . . a grezza l' altra china
Il primo scampo, un chiostro una chiesina
Tra i rocchi: era su l'uscio ritto un frate.

Il Chiostro, il lettore sa, è il Convento dei Cappuccini. Garibaldi- si accosta al padre e lo richiede di asilo e di un po' di pane, e l' uomo pio gli risponde affettuosamente che l' amor non serra porte.

E fu tal arra Glie salvò da morte
In onta delle forche ultramontane
Il sacrilego duce e i suoi briganti.

Il poeta dopo averci descritto l' appello ai liberi, steso brevemente dal Capitano sopra un tamburo, e la risposta di costoro che così suona « Nella pochezza lor semplice e lieta - Fidasse per consiglio e per soccorso », e l' accorrere del popolo che stupia chiosando con pietà discreta - in tanta povertà tanta prodezza, canta nel III sonetto l' ospitalità di Lorenzo Simoncini, data ad Anita, la donna del cuore di Garibaldi, ad Anita che

..... usata nella sua contrada
A vincere in ardor la bestia brada
Travalicando campagna infinita,

Giaceva in. terra immobile, sfinita
Dalla maternità, dall'aspra strada,
Aperta a palmo a palmo -con la spada:
Anima invitta in corpo senza vita.

Quanta pietà inspirano questi versi per l’infelice ed eroica donna! Quanta riconoscenza in noi Sammarinesi, in tutti i buoni, inspirano questi altri per l’onesto popolano che non seppe venir meno al sacro dovere di ospitalità tradizionale nell'animo del popolo della Repubblica!

Suo ricovero fu l’umil tetto
Anima invitta in corpo senza vita

Quanta pietà ti inspirarono questi versi per l’infelice ed eroica donna ! Quanta riconoscenza in noi sammarinesi, in tutti i buoni; inspirano questi altri per l'onesto popolano che non seppe venir meno al sacro dovere di ospitalità tradizionale nell'animo del popolo della Repubblica !

Suo riccvero fu l'umil tetto
D'un caffettiere: in esso la sincera
Virtù delle temperie, il desco sano,

E la cura amorosa, a mano a mano
Parve che ridonasse la primiera
Lena ai membri stremati e all'esil petto.

Nel sonetto IV "L'invasioe" mentre proviamo disgusto in leggere l'ordine inviato ai Capitani Reggenti di consegnare prigioniero al Duca nel termine d'un giorno il masnadiero, con la compagna e quanti erano con lui, ci è caro udire che

Insorsero a difesa del diritto
Il Console Belzoppi ed il Bonelli
Segretario, ferventi anime e forti,

Che sdegnando le ambagi e gli angiporti
Dei politici aprirono ai fratelli
Le case, e lacerarono lo scritto.

Nel V sonetto "Il Consiglio„ in cui l'A. accenna all'adunata dei padri indetta dalla Reggenza per discutere sul da farsi, mentre le parti attendendo alcun che suggerisce stavano fra temenza ed amor senza sermone, mi piace l'immagine del gran vecchione

Grande per tempo e per saggezza

il quale ricorda che l'ospitalità presso i maggiori fu sempre sacra ed esclama:

. . . . . . o che? vogliamo noi
Per un sospetto vil fare altrimenti?

Vada al campo un de' buoni, e parlamenti
Alto, conforme alla giustizia . . . . .

Ben riuscito è il sonetto "II Parlamentare„ in cui rifulge la figura del tenente Giovan Battista Braschi, quei che mandato per ambasceria all'Arciduca Ernesto al suo ritorno

. . . per ristoro ebbe il saluto,
Ebbe lo sparo dell'artiglieria,
Ed una salva gli fischiò da presso;

ma quello che a mio modesto avviso è forse il migliore e il più finemente scolpito è "Il Sogno di Anita„.

La visione di questa donna dal corpo stanco e sofferente, ma forte nell'animo e nella volontà, che sale sul suo ronzino, sola, vagheggiando un folle disegno di difesa alla Fortezza, che domina e i monti e il piano e il mare, é davvero meravigliosa. Anita sogna, di fronte a un panorama stupefacente, nella tristezza di un'ora che tutta l'invade, come ogni giorno invade i cuori di chi ha un caro da rimpiangere , un solo ricordo da rimpiangere, un solo ricordo da rievocare, una madre da riabbracciare, una patria da rivedere, nella tristezza solenne del tramonto:

Era il tramonto, `e nella sua chiarezza
S'adagiava via via di colle in colle
L'ombra del monte vaporosa e molle
Trascolorando ai soffi della brezza.

Come dolce, viva, fresca la descrizione in questa quartina! Non è poesia questa che intenerisce il cuore? Non immaginate di vederla, l'Eroina, di udirne i palpiti, di contemplarne gli occhi sperduti, mentr'ella sogna e progetta ripensando alla sventura del suo biondo Duce e dei fedeli seguaci di Lui?

Anche le due terzine che seguono sono magistralmente eseguite; nell' ultima lo stridulo segno di una scolta completa la solennità e la tristezza di tutto il quadro, il cui autore ci dimostra, oltre che padronanza della lingua ed altri indiscutibili pregi, quanto sentimento e gusto del vero nelle descrizioni possegga.

Lungamente scrutò presso e lontano
Il tenebror della boscaglia folta
Come sperduta, accaneggiata fiera.


A un tratto nella pace della sera
Squillò stridulo il segno d'una scolta,
A cui pronto rispose il monte e il piano.

E sentimento e gusto del vero, interpretazione fedele della natura e nel suo palpito e nelle sue bellezze il Mastella ci dimostra nei sonetti XI e XIII, "L'Addio di Ugo Bassi„ e `L'Addio di Anita„.

Nel pruno abbiamo

. . . . Il sol rompea tra rossi
Groppi di torvi nuvoli dai dossi
Dell'Appennino nella nuda stanza,

nella nuda stanza dove per pochi giorni aveva pulsato il cuore ardente e generoso di Chi, poco tempo dopo, in Bologna doveva consacrare la vita al martirio nel nome dell' Italia e della libertà.

Nel secondo mentre l'austera donna si disponeva alla fatale cavalcata

. . . . . . . un fioco
Crepuscolo di porpora e di croco
Tremava ancor sulle indistinte cose.

Valentia poi nella pittura dei caratteri di personaggi specialmente rinveniamo ne "La Guida„ in cui Nicola Zani ci viene rappresentato tale e quale veramente era e lo conobbero coetanei ed amici

. .uomo arido, ossuto,
Tutto pel, tutto nerbi, tutto nocchi
Tutto rughe la fronte ampia, con gli occhi
Fiammeggianti e il contegno risoluto.

Cacciatore instancabile, saputo
Nel rampar per. dirupi e per trabocchi
Nell'entrare il padul fino ai ginocchi
Nel trovar,come il can, la strada al fiuto.

"Il Passaggio degli Austriaci„ "Da Lungi„ "In Vedetta„ sono gli ultimi tre sonetti della Canzone.

L' Eroe ed Anita con gli altri prodi, accompagnati da Nicola Zani, se ne vanno oltre guadi e valichi per la via della salvezza, mentre a San Marino passano gli Austriaci.

. . . . . . cannoni e salmerie,
Cavalli e fanti tutta una giornata
A suon di trombe, come alla parala,
Tronfi, agghindati, in folte compagnie,

e la gente sta ben chiusa in casa prudentemente guardando la sfilata dalle gelosie ed esclamando:

-“Queste faccie incagnite e impomatate
Han cera men d'eroi che d'arfasatti”-
-“Cani da presa” - Si, ma da pagliai.”-

-“Razza di saccomanni buoni assai
A sbaragliar gli eserciti disfatti.”-
-“E trionfar le terre non guardate”-

E quando l'esercito fu lontano,

. . . . . dai bassi clivi
Risonó l'eco a lungo in lente note
Di strani canti e di fragor di ruote
Nella gravezza dei silenzi estivi

Indi il monte tornò dei suoi nativi
Puri concenti all'armonie ben note,
Al sussurrar dei venti nelle vóte
Pendule rupi, al mormorio dei rivi.

Frattanto, mentre

Il piccolo manipolo di prodi
Seguiva il suo cammin, triste e pensoso
Per oscuri presagi, a meta oscura

dalla sommità del Titano pulsavano e tremavano cuori d'italiani; quel manipolo di prodi era accompagnato dai preghi e dai desideri dei liberi, i quali

Un dì scrutando in taciti pensieri
L'ampia distesa dell'azzurro mare
Videro dall'oriente veleggiare
Un breve stormo di vascelli neri.

Questi tonando e volteggiando in caccia
Corsero i lidi da Volano a Cervia,
Poi dileguaron verso la Laguna;

Ove afflitta l’italica fortuna
Gridava incontro all’imperial protervia
la maledizion che ancor minaccia.

Così chiude mirabilmente il poeta la sua collana di sonetti che tanto largo consenso di lodi ha trovato nella repubblica letteraria. Fra i molti, che appena la canzone uscì alla luce, inviarono lettere d'encomio e di congratulazioni, piacerci accennare a Guido Mazzoni che la giudicò divisa in quadretti vivi e netti, inspirati da un senso della poesia eroica che sa fare, della cronaca, visioni, e a Vincenzo Crescini dell'Università di Padova il quale ebbe a dire che in essa scultura e pittura si avvicendano, dantescamente.

Questo del Mastella, certo, non sarà l'ultimo lavoro che sullo stesso argomento verrà pubblicato, ché per quanto omai a tutti noto pure l'episodio sammarinese dell'epopea garibaldina è sempre degno di essere studiato e trattato in prosa e poesia attraverso i molteplici suoi documenti storici e le sue tradizioni tramandateci da coloro che ebbero la ventura di poter giovare all'Eroe ed ai Suoi in quella critica ora.

Esso deve essere trattato e reso di pubblica ragione al duplice e doveroso scopo di additare alle generazioni avvenire il senno e la prudenza de nostri maggiori, che salvarono in ogni circostanza, l’indipendenza della nostra Repubblica, e di mantenere sempre vivo il sentimento della libertà propria e di quella altrui, l'odio contro i tiranni ed i nemici della giustizia e della civiltà, l' amore verso la patria grande: l'Italia.
San Marino Luglio 1913

MANLIO GOZI

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(1) T di F. Campitelli in Foligno.
(2)” Il Titano” - Note di un Alpinista -Imola, Galeati 1879.
(3)”Garibaldi e la Rep. di S. Marino” - - Cenni storico-critici - Bologna, Zanichelli 1891.
(4) San Marino, Angeli 1899.
(5) Memoria pubblicata nelle Relazioni del l° Congresso de La Romagna in San Marino Agosto 1905. Tip. Coop. EG., Iesi 1905.
(6) Giuseppe Garibaldi e Ugo Bassi a -San Marino = Rimini, Balducci 1S49.
(7) Roma, Soc. Edit. Dante Alighieri 1899.
(8) Iesi, Stab. Tip. Coop. 1905.
(9) pubblicato sul locale periodico "Il Titano„.
(10) Impressa in S. Marino per Angeli e C. MCMXI.

 

 
 
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