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Omicidi
di Emilia Belzoppi
   
Tre omicidi efferati. Leggi anche ...

 

Primo omicidio

La sera del 14 Luglio 1853, ancora reggente il babbo, fu fortemente bussato alla porta. Era il brigadiere dei Carabinieri trafelato ed ansante che veniva nunzio della morte del N.H. Giambattista Bonelli Segretario della repubblica. Narrò come finita la partita a scacchi si tolse dal caffè ed avviossi a casa e mentre passava sotto il voltone di Casa Mercuri ove è una porta che s'interna nel muro, gli avevano sparato contro e lasciatolo per morto. Accorse la forza, ma gli assassini erano spariti; raccolsero il povero morente, lo adagiarono sul letto di casa sua: strinse la mano alla dolente sposa, perdonò gli uccisori che non poteva supporre chi fossero perché non sapeva di aver fatto male a nessuno e volto uno sguardo al Crocefisso, spirò.

Il milite piangeva, faceva vedere i suoi calzoni cosparsi di una pioggia di gocciole di sangue ancor fresco. Quanto si soffrì quella sera!

Babbo dette ordini severi: tutta la guardia civica fu in moto. Uno degli assassini andò a coricarsi; l'altro vestì la divisa e cogli altri andava cercando l'uccisore. Questi poteva avere poco più di 16 anni e sentendosi addosso questo primo delitto, andava parlando in modo strano coi compagni, né quali nacque il sospetto ed esso si mise fuggiasco. Era L. Pasqui detto Lueta, l'altro Marino Giovannarini di circa 30 anni, pingue e brutto, i quali vennero estratti a sorte e naturalmente doveva cadere sopra due cittadini, perché non ne scapitassero i forestieri. Marino dopo qualche mese di contumacia fu preso che dormiva sotto una rovere, Lueta potè passare all'estero, si unì ad una banda di assassini che venuti a rissa tra loro gli mozzarono il capo e lo lasciarono nella foresta insepolto. L'altro subì la sua pena in un forte della Toscana.

Il povero Segretario era un uomo distinto, cittadino egregio, mite, docile, manieroso, colto. Lasciava una sposa giovane e quattro angioletti. Il dì delle esequie solenni si rinvennero dei libelli che dicevano. Non piangete tanto sulla fine di questo P. ma pensate che presto lo raggiungerete e i P. cadranno tutti e con essi la tirannide.

Il babbo era sempre in Città; in seduta permanente non veniva a case neppure la notte. Al palazzo erano sempre consiglieri, militari, donzelli. Quando nostra madre ci conduceva a trovarlo i soldati ci facevano il saluto e ci lasciavano passare. Una mattina papà era a letto e prese una mano alla mamma, posò sul suo cuore, che dava pulsazioni veementi e spesse. Povera mamma come se ne addolorò e quanto, vincendosi, fece coraggio al marito!

La nostra era una famiglia strettamente legata d'amore e per quante contrarietà insorgessero, pure quando eravamo tutti uniti ci confortavamo nella certezza d'illibata coscienza e nei vincoli d'affetti santi e possenti. Babbo allontanato da noi, languiva: la responsabilità che aveva, il disgusto di fatti tremendi l'oppressero e furono il principio di una malattia di cuore.

Finita la Reggenza di babbo, si venne a godere un poco di pace e di aria buona nel nostro casino da Capuccini. Io mi ci recava con indefinibile trepidazione. Ero malata, ma vedeva sopra un sentiero che a tanti passi conduceva all'eterno riposo che tanto desiderava era un fiore cui occulto verme rode lo stelo.

Nel carnevale del 5x ci si permise di andare ad un ballo pubblico e fu per noi il più attraente dei divertimenti. La Giacomina era già maritata da qualche tempo, ma era con noi.

Secondo omicidio

Dopo l'omicidio del primo segretario, gli animi dei cittadini erano male impressionati; i buoni detestavano gli assassini, li biasimavano altamente, i prudenti si limitavano a compiangere la perdita di un saggio e l'infelice famiglia, biasimando in secreto l'atto truce e brutale.

Figlio di un buon cittadino era Gaetano Angeli giovane di circa 23 anni studente all'Università di Pisa, che aveva con lode compiuto ormai il suo corso Legale e che alla prossima apertura doveva avere la Laurea Dottorale. Essendo il tempo delle vacanze, il 3 Ottobre mi pare, viveva tranquillo in seno alla famiglia, che componevasi dei genitori, di un fratello maggiore che aveva un grado nella Milizia e di due sorelle. Amava di tenerissimo affetto una vezzosa fanciulla, Rosa, il cui nome ben si addiceva all'aspetto ed era figlia del Dot. Lazzarini medico primario di città.

Un dì dopo aver desinato, passando per un'accorciatoia si recò a trovarla e trattenutosi alquanto in dolci parlerai, le strinse la mano e uscì. La casa dov'ella abitava era l'ex Palazzo Onori passato in eredità al Conte Settimi di Rimini. E' posto sul culmine del monte di fianco al Tempio del Divo Marino: alcune finestre guardano la piazza della Chiesa, altre un posto che fa riviera verso il mare, sito per dove l'Angeli passava per abbreviare l'andare a casa ed altre davano direttamente sulla rupe che da tanta altezza lasciava scorgere un panorama incantevole, interminabile, nonché il Borgo e tutto il giro delle strade bianche e serpeggianti per le quali vi si adduce. Non poteva omettere queste particolarità, avendo più tardi a narrare altra dolorosa tragedia.

Riprendo all'Angeli che fermatosi sotto al verone della sua casa, non sapeva quel dì staccarsene, pur finalmente la salutò ancora e s'incamminò.

Ma fatti poche passi s'abbatté in due giovanotti, che cominciarono a deriderlo, ad insultarlo con villane parole alle quali rispose con dignità: Non m'insultate ragazzi, io non vi ho offeso, vi rispetto ed esigo essere rispettato!! Ma da parola a parola passarono agli urti ed esso cui mal sapeva il porre mano all'arma che aveva in tasca, si difendeva a braccia staccandoseli d'attorno, ma essi lo assalirono, uno lo urtò forte all'indietro, l'altro lo prese per il ciuffo dei suoi corvini capelli mentre il primo lo colpì in pieno petto con uno stile, mentre quello che lo teneva lo percuoteva pure.

L'infelice ebbe la presenza di spirito di estrarre l'arma ed esploderla, ma nella sua posizione in cui era non poteva nuocere ed andò a vuoto.

Ciò avvenne sotto gli occhi della fidanzata, che ebbe a morir di dolore!!

Il colpo fece accorrer gente; lo sentirono i suoi i quali accorsero pure . ah non dirò nulla del loro cordoglio . non lo potrei perché il pianto mi fa nodo agli occhi!

Dirò che posatolo sopra una seggiola a braccino lo portarono a casa, ove dopo aver perdonati i suoi uccisori, spirò placidamente colla coscenza serena del savio e dell'onesto.

Quali motivi spingevano costoro ad agire così? Lo dicevano un retrogrado, un codino, una spia perché non divideva i loro sentimenti, amava la patria, rispettava le leggi; io credo che vi entrasse una buona dose d'invidia perché si faceva onore e ne riscuoteva lode ed affetto dai buoni.

Chi erano costoro? Figli di oneste persone, apportavano un colpo terribile al cuore dei genitori Giambattista Nob Beluzzi e Biagio Martelli Procuratore legale. Il figlio del primo si chiama Beluzzo, del secondo Federico. L'atto truce destò nel pubblico indignazione ed il Dot. Lazzarini padre della fidanzata dell'Angeli, uomo subitaneo impressionabile, si arbitrò di far suonare le campane a martello, di far serrare le porte della città e presa la doppietta radunò gente per vedere di prendere gli assassini. Accorsero i contadini dalle campagne e messa la divisa ne fecero ricerche ma inutilmente. La reggenza fece ritirare il Lazzarini, mise le cose in mano alla polizia e di lì a non molto gli uccisori si costituirono e dopo una larva di processo che li condannò a pochi mesi di carcere in patria, uscirono liberi.. La famiglia dell'ucciso espatriò per sempre.

Terzo omicidio

Se non erro dev'essere stato nei mercati di primavera 1854 che avvenne questo terzo fatto di sangue più spietato e più truce degli altri. Dopo la morte dell'Angeli, secondo omicidio, il livore contro il Dot. Lazzarini non si era smorzato, ma covava in secreto e si dimostrava ad ogni piccola circostanza. Un mattino si recò a far visita in S. Giovanni sotto le penne, piccola parrocchia che prende questo nome per esser fabbricata sotto al monte e per recarvisi si cammina costeggiando i massi della base, per una strada comoda e quasi piana. Dalla cima ove torreggia la Casa Onofri come già dissi, ove abitava la famiglia Lazzarini, la moglie e le figlie, sempre in apprensione, lo seguivano coll'occhio trepidanti per il timore. Era a cavallo ed aveva la doppietta alla spalla che portava per sua difesa. Giunto, fece le sue visite e se ne tornava, quando in un punto solitario della via gli si fecero innanzi quattro cinque giovinastri che, lasciatolo passare, gli dettero a tirargli grosse pietre nelle spalle, nel dorso i mirando anche il capo.

Comprese il mal destro e chiudendo in sé l'ira che questi barbari modi gli suscitava, tacque e spronò il cavallo.

Intanto la moglie e le figlie urlavano disperatamente di lassù: lasciate stare il papà, abbiate pietà di noi . lasciatelo vivere . che era uno strazio il sentirle, come attestano alcuni contadini che andavano al mercato.

Giunto in piazza discese, consegnò il cavallo ed entrò nella Farmacia Righi. Ora sono salvo, dissi col farmacista e raccontò gli insulti ricevuti prima a parole e poi a fatti e disse delle voci dolenti delle sue donne che gli erano discese al cuore. Fece le ordinazioni, poi si dispose ad uscire di lì per recarsi a casa. Il Righi tentò con tutti mezzi per trattenerlo: vedo degli assembramenti che mi fan preveder male, diceva, Dottore non azzardata, ve ne prego . Ma esso adduceva buone ragioni; ormai mezzo dì, in piazza, giorno di mercato in mezzo a tanta gente . Ah non era possibile! Eppoi avevano tentato indurlo ad esplodere per avere una ragione di ucciderlo e non lo avevano fatto, ormai il pericolo era passato. Ma non fu così.

Appena fuori del portico uno lo atterrò d'un forte urto, poi gli esplosero un colpo d'arma da fuoco contro e gli inflissero delle ferite, ma esso forte e di gran spirito, appoggiò il capo alla mano, si rizzò sul gomito e collo sguardo smarrito ridotto a strabismo, pareva cercasse un essere solo, che avesse prese le sue difese, ma non lo trovò!! Era circondato in modo che nessuno azzardò farsi innanzi . Ma ben si fé innanzi il Procuratore Giacomo Martelli, che vistolo in quello stato miserando, la pietà che ne sentì, fu di mettergli una palla nell'orecchio che gli deformò il viso e gli spaccò il cranio.

Fuovi che inveì anche contro il cadavere, per sfogo d'ira di represso livore!! Tutta questa tragedia si svolse sotto gli occhi della moglie e delle figliuole . "e se non piangi di che pianger suoli?"

Era successo il panico: tanta impudenza aveva colpito di stupore; ed ognuno guardava, compiangeva, detestava, forse, ma taceva. La povera salma fu trasportata in una chiesa non officiata che si chiamava la Madonna della Ventura. Gli assassini si dileguarono: avevano compita un'opera grande, avevano ucciso un uomo senza lasciargli il diritto della difesa, infine quello che si era associato alla causa italiana aveva "ucciso un uomo morto!"

Questa fu opera Martelliana. Lo dico qui perché sono sicura che questa storia resta alla famiglia, se prima non la distruggo io stessa, altrimenti mi asterrei dal farne nomi; li faccio perché sono persone che avrebbero dovuto curare il buon nome e l'onestà; rismi pareare ai loro poveri vecchi un dolore che gli accelerò la morte, lo dico perché è forse l'unico castigo in questo mondo il segnare un essere all'esecrazione dei posteri, poiché la giustizia umana livella il bilancio con pochi mesi di carcere.Lo dico a voi soli figlioli, perché in qualunque evento vi guardiate da simili eccessi, perché vi ricordiate che la storia non perdona, ma registra, perché l'uomo non dimentica, ma racconta e così di padre in figlio avanti, avanti . detestati sempre.

Uno storiografo valente, moderno, Marino Fattori, ha accennato il primo omicidio alludendo semplicemente ai secondi, senza far motto sulle persone che li commisero. Va bene: ciò evidentemente era necessario. Questi tali sono ancora viventi e sarebbe stato un dare la propria esistenza al coltello e tanto più disdoro ne sarebbe venuto trattandosi di famiglie che alla sua volta hanno i lor capi alla sede del Governo. Ma poteva peraltro rismi parearsi di porre nella sua storia un cognome a macchiar l'onestà del quale figura un essere ignobile vissuto nel 1651, ch'io mai intesi nominare il famiglia e che mi è rimasto totalmente nuovo, come infinitamente doloroso il conoscerne la nequizia. Un traditore della patria nella nostra discendenza che fu tanto attaccato alla libertà? Ah ciò è orribile a dirsi!! Se il Fattori avesse pensato quale ferita avrebbe aperta nel mio Purtroppo cuore sempre amorosissimo per la Patria e per la Libertà, si sarebbe contenuto diversamente. Esso avrà detto a se stesso: è una famiglia estinta. è vero; ma il nome paterno io lo porterò sempre e sono e sarò sempre piena ed altera dei sentimenti appresi dalla bocca di mio padre!

La famiglia, ossia la vedova e le figlie espatriarono portando seco il fazzoletto da collo intriso nel sangue paterno e la giacca crivellata! La povera Rosina non ha mai voluto maritarsi e ha lasciato appassire il fiore della sua bellezza nei ricordi dei dolori inenrrabili.1

Quando tale notizia giunse al nostro orecchio ne provammo forte dolore: mamma pianse . e stava dicendo a noi: di non cessare a ringraziar Dio di averci salvato il nostro amoroso babbo!!

Vari giorni dopo dovetti andare in S. Marino; vidi sul selciato ancora non del tutto disseccata una larga macchia di sangue che mi dissero essere del povero Lazzarini! Provo scrivendo, il brivido che mi corse dal capo alle piante.

Gli uccisori si costituirono nel processo. Niuno aveva veduto, niuno poteva asserire . Pochi mesi bastarono a scontare questo delitto immane e fra poco tornarono avvicinati e stimati, apparentemente, qual'erano prima.

Io per me non ho potuto vederli, o parlagli senza sentirmi l'esecrazione, senza guardare a quelle mani d'assassini che avevano sparso sangue.

 

 
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Revisione del 27 gennaio 2004