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Il buon Santolo
di Emilia Belzoppi     
   
Continuano i ricordi d’infanzia. Muore il Dottor Bergonzi, suo Santolo. Si fa grandicella. Ricorda la nonna. Piange la perdita della cugina Marietta. Altri dolori di adolescenza.
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Per darvi un’idea di che stirpe mi fossi, vi dirò che una notte che non potevo dormire ed avevo il lettuccio accanto al letto dei genitori, dalla parte del babbo, cominciai a piangere e babbo a dirmi di stare quieta.

Invece di cedere, piansi più forte e, alle minacce, aggiunsi di volere fare ciò per fargli dispetto e battevo il capo nella testiera di legno, finché, impazientitosi, il babbo si alzò e mi batté forte col tacco di una sua papuccia.

Quello che era in me di non comune si è, che dopo fatte quelle escandescenze, nasceva in me tale un pentimento che mi rodeva per giorni e giorni: piangevo ... pregavo le donne di servizio a condurmi nella chiesa della Madonna e mi ricordo che da piccina di quattro o cinque anni, volevo andarvi scalza e volevo ungermi con olio benedetto per ottenere la grazie di divenire buona; ma poi non perseveravo in tale proposito.

Dico queste cose per farvi conoscere che ero una pessima bambina, che mio padre aveva mille ragioni per battermi e che mille volte ho benedetto e benedico la mano mi ha percossa.

Con quanta riconoscenza ricordo che la mamma diminuiva i miei torti e, nel vestirmi, faceva vedere al papà le lunghe lividure delle mie cosce, il che faceva forse per renderlo più guardingo nel battermi.

Con quanta riconoscenza pure ricordo quando il mio buon Santolo Dott. Bergonzi diceva ai miei:

“Non la percuotete, non la irritate, poverina! E’ malata di verminazione.”

E quando vedeva il torbido, mi prendeva in groppa al suo petto col braccio sinistro e mi portava per qualche giorno a casa sua che era la casa della sorella di mia madre; lì io ero lieta e tranquilla. Il povero Santolo mi dette delle medicine che uccisero tutti quanti i vermi che erano dentro di me innumerevoli ed io subii un cambiamento e divenni più tranquilla.

Non ricordo in che anno, credo tra il 1839 ed il 1840, si ammalò il povero Santolo e fui condotta a trovarlo: era lui che voleva vedermi; mi volle sul letto, mi accarezzò, mi lisciava i capelli ricciuti, mi fissava negli occhi, mi baciava ... e si asciugava le lacrime, quando mi rimandò: io varcai la soglia sempre col capo rivolto verso di lui e col piccolo cuore in tumulto. Dopo pochi giorni morì: piansi ... io perdevo un difensore, un essere che mi amava e che amavo io pure tanto. Sentivo in cuore un vuoto che la vivacità di fanciulla non valse a cacciare per vario tempo. Questo fu il primo dolore.

Fatta grandicella, smisi gli abiti maschili, cominciarono le scuole, ma per me il lavoro era un peso, perché la mia vivacità mal soffriva di star seduta per ore allo studio ed al lavoro. Le mie sorelle mi davan la baia ed io arrabbiava, piangeva, prendeva castighi. Voleva sempre vincermi ... e non ci riuscivo.

Poteva avere 10 anni, ammalò gravemente la Marietta d’infiammazione di cervello. Un fiero dolore di capo la tormentava giorno e notte e si entrava in camera con tutte le precauzioni per non far chiasso. Una volta al dì ci era permesso di vederla. Sopraggiunse il delirio: non conosceva più. La curava con tutto l’impegno il Dott. Angeloni che era un giovanotto; la vedeva spesso il Dott. Lazzarini, fu fatto venire il padre che ella appena riconobbe e che non trovò a ridire della cura intrapresa. Dopo ventiquattro ore, ripartì, sicuro di non più rivederla.
Poverina! Aveva 16 anni, ben sviluppata superava l’età; moretta, colorita, di belle forme; buona, docile, divota era amata da tutti, non solo in famiglia ma anche dall’intero paese. Dopo ventiquattro giorni di penosa malattia rese l’anima a Dio. Morì senza aver conosciuto di morire. In tutta la sua malattia diceva sempre di star bene. Fu un gran cordoglio in famiglia ma per la buona nonna fu un crepacuore!
Era la sua compagna di letto, di preghiera, di lavoro. Aveva la responsabilità presso ai genitori e aveva per essa un affetto immenso e Dio la colpiva nel più vivo del cuore.
Fummo allontanate quel dì, ma quando il mattino di poi, addolorate e col capo chino stavamo intorno al focolare, dalla stanza ov’eravamo si udivano i colpi di martello che mandavano una eco lugubre … e che, dall’orecchio … si ripercuotevano al cervello e dal cervello ricadevano sul cuore.

Non ho più dimenticato l’impressione che provai, la sento ancora! Erano i chiodi che, a forza di colpi erano cacciati a serrare la nostra cara fra quattro assi in abete, ultima custodia del povero cadavere!!!

Il dolore che ne provò la povera nonna non è da dirsi. Ella l’aveva tenuta sempre seco: dormiva con essa, la conduceva alla chiesa e qualche raro passeggio; avrebbe formato ella quel cuore e quell’indole dolce; era la sua compagna.

E siccome la nonna aveva rinunciato volontariamente all’azienda domestica, lasciando tutto il fare alla mamma, perché la conosceva capace, così viveva nel suo appartamentino, ritirata e contemplativa; ma finché visse Marietta se la teneva presso e, nelle ore del lavoro, andavano nella stanza della vecchia zia Luigia e vi stavano sino all’ora della visita al Santissimo.

 

La nostra vita era ben diversa. Fanciulle ancora, vispe come farfalle, prendevamo le nostre ore di ricreazione con frenetico trasporto e la visita alla zia consisteva di andarla a trovare due volte al giorno, mattina e sera. La sua, al contrario era una vita di abnegazione e che ricordi io, solo due volte è venuta con noi al teatro. Ella era stanca di questa vita di ritiro: e quando i fratelli venivano, al tempo delle vacanze, a passare un mese o due da noi ella gioiva: la portavano fuori e desiderava ardentemente di stabilirsi a Fano con la sua famiglia.

L’ho vista piangere dirottamente quando i fratelli che amava tanto, partivano!

 

A 16 anni la vita sorride; uno slancio dell’animo abbraccia il creato ... si cerca nell’ignoto ... si ha bisogno di aria, di luce, di fiori ... infine di un affetto che non sia di famiglia.

La poverina sparve ... ed io la vedo ancora, nelle sue ore di concentrata mestizia, appoggiata al davanzale della finestra, sostenersi il viso nelle mani e fissare il cielo coi suoi grandi occhi neri.

La nonna durò un anno intero a dormire in altra stanza, ma il giorno e tutta la serata se ne stava là e, per solito, al buio. Senza dubbio pensava alla cara estinta ... e pregava colla fede che in tutte le azioni la guidava e le infondeva coraggio. Compìto l’anno, volle tornare a dormire in quella stanza ed io e Checchina con essa.

Questo fu un grande sacrificio per noi! Dormire, nel posto preciso ove era morto il nonno e la cugina ... in tutta la notte non si dormì. Fatta l’abitudine, cessò il ribrezzo e dopo qualche tempo restai sola a tener compagnia all’ottima nonna, lietissima di poterle dimostrare quanto l’amassi.

 

L’appartamento della nonna consisteva in una camera d’entrata nella quale, dall’andito, si discendeva per cinque scalini; a destra era lo studio di papà e, pure a destra, ma più giù, la porta che metteva in un bel salotto; dirimpetto alla scala, una porticina che dava nella camera da letto; di fronte ad essa vi era una porta grande per l’intera facciata che, nell’aprirsi per intero, si ripiegava sopra se stessa e dava aria e luce alla stanza che ne era mancante; ma per solito stava chiusa e ci servivamo della porta di mezzo che era una larga bussola al pari delle altre.

Il portone poi, sopra, era provvisto di cristalli.

Il salotto aveva una finestra ed una ringhiera in mezzo alle quali era una lunga tavola di abete a due cassetti, uno dei quali serviva alla nonna e l’altro a noi per i nostri ninnoli. In capo alla tavola, dalla parte della finestra, lavorava la nonna: raramente cuciva, faceva calze e filava finissima lanella.

 

Mi pare vederla, colla cuffietta in capi e gli occhiali sul naso, proseguire il suo lavoro come fosse sola, mentre noi, nelle ore di ricreazione, scendevamo nel salotto a farvi un diavolaio, una gazzarra da far strabiliare.

Si ballava, si faceva al giro, che consisteva nel porre il piede destro in una stracca doppia e sollevarlo a livello del corpo, mentre colla punta del sinistro si prendeva tale una rotazione sopra noi stesse da tenere in mano un piccolo cassettino con entro una palla, capovolgerlo per ogni verso, senza che la palla si muovesse, tanto veloce era la rotazione. Talvolta si accumulavano seggiole, si formavano torri, tal altra conventi e ci cambiavamo in suore ed altra in madri di famiglia che, con amore fasciano e custodiscono i loro figliuoli.

 

Ripenso sempre con grande ammirazione alla pazienza che esercitava quella santa vecchierella! Il suo volto era placido e sorridente ... veniva dicendo ... “Non vi fate male ... attente bambine” ma non ricordo mai di averla veduta inquieta.

 
Presentazione
13 luglio 1892
I Cappuccini
Grandicelle
Viva Belzoppi
Il buon santolo
Altri dolori
Papà Reggente
Vicende politiche
Garibaldi rifugiato
Gli esuli
I giovani dalmati
Omicidi
Onoranze
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Revisione del 27 gennaio 2004