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E' un vero peccato
di Raffaele Bonomi

Storia di un aspirante ufficiale durante la Grande Guerra

 

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E' un vero peccato che le note autografe dell'aspirante Bonomi si fermino qui. Sappiamo che, mentre la 50° divisione, la quale aveva sostenuto l'urto del nemico alla Conca di Plezzo, veniva completamente travolta dai gas asfissianti, la 36° ripiegò ordinatamente e si attestò sulla destra del Tagliamento. Qui venne affiancata dalla divisione 63 ° prontamente richiamata dalla pianura a rinforzo di quel tratto di fronte ed insieme, appoggiate dal forte di monte S. Simeone, si attestarono a linea di difesa da Trasaghis, di fronte a Gemona, fino a Tolmezzo.

Proseguendo l'avanzata austro-tedesca nella pianura da Udine verso Pordenone, le due divisioni ebbero l'ordine di ripiegare su Tolmezzo e, attraverso la valle dell’Arzino, passando per S. Francesco, Pielungo e Clauzetto, guadagnare la pianura sempre sulla destra del Tagliamento. La manovra forse era ispirata dalla volontà di tagliare la strada agli austriaci che già dilagavano per tutta la provincia di Udine o forse semplicemente per salvare due divisioni che rischiavano di rimanere imbottigliate dentro 10 schieramento nemico.

La ritirata avveniva alla cieca, nella più totale mancanza di collegamenti, dato che all'epoca le comunicazioni erano effettuate quasi esclusivamente via telefono ed in minima parte tramite radio, che peraltro in montagna non funzionava bene, e le linee telefoniche erano state sconvolte dall'offensiva nemica. La manovra fallì in pieno grazie alla superiore abilità tattica dei tedeschi, i quali anticiparono i nostri attraversando il Tagliamento a sud, sbarrarono la valle dell’Arsino ed attesero che i nostri arrivassero loro in bocca. Durante questa fase della ritirata il battaglione Val Fella costituiva l'avanguardia e quindi si trovò per primo a contatto con i reparti nemici e fu impiegato come ariete per tentare di sfondare l’accerchiamento .

La battaglia iniziò all’alba del 5 novembre e fu durissima I reparti andarono all’attacco quasi senza munizioni, che erano state perdute durante la ritirata, e senza fuoco di accompagnamento mentre erano sottoposti ad un tremendo fuoco di fucileria e mitragliatrici da parte di un nemico molto ben appostato sulle alture circostanti. Durante la notte tedeschi ed austriaci si ritirarono alquanto, invitando così i nostri ad avanzare, cosa che puntualmente fecero cadendo nel tranello. La mattina del 6 il combattimento iniziò con gli italiani in posizione ancora più svantaggiata e con i reparti ormai allo stremo per le perdite subite e per la totale mancanza di munizioni, che costringeva i plotoni ad andare all'assalto contando unicamente sulle baionette. Il Val Fella fu decimato; come del resto quasi tutti gli altri reparti. Il 2° plotone della 270° compagnia, quello del sottotenente Frerejan e dell'aspirante Bonomi andò all'assalto varie volte e alla fine i superstiti furono meno di una decina.

Al tramonto era tutto finito. I resti di due divisioni si arrendevano e per quei soldati affranti, affamati e sconfitti iniziava il triste periodo della prigionia, che sarebbe durato esattamente un anno. Il momento della resa è criticissimo, forse peggiore del combattimento stesso, perché chi si arrende è, inerme ed immobile, alla merce del vincitore: e può facilmente essere oggetto della vendetta di chi ha visto cadere un compagno, magari un parente e con un colpo di fucile può sfogare tutta la tensione accumulata durante il combattimento e tutto il rancore contro il nemico vinto. Per fortuna di mio padre e degli altri, i loro antagonisti erano degli austriaci: i famosi Schutzen, i cacciatori, che erano l’equivalente dei nostri alpini. Se fossero stati croati o bosniaci sarebbe andata peggio, molto peggio.

Mio padre, assieme ad altri fu preso in consegna da un caporale, e siccome camminava adagio zoppicando perché era leggermente ferito ad una gamba colpita da una scheggia, il caporale sfogò il suo livore su di lui con un formidabile calcio nel sedere; e fu tutto. Certamente quel calcio, dato con uno scarpone da montagna, dovette essere veramente poderoso perché mio padre se ne ricordava ancora da anziano a distanza di anni e anni :

"Che calcio che mi diede quel caporale!"

Così, quella sera del 6 novembre terminò per mio padre la guerra combattuta: dal suo arrivo in trincea il13 ottobre erano passati solo ventitre giorni. Avrebbe avuto dinnanzi a se ancora un anno esatto di prigionia.

 

 

 


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