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E' un vero peccato che le note autografe
dell'aspirante Bonomi si fermino qui. Sappiamo che, mentre la 50° divisione,
la quale aveva sostenuto l'urto del nemico alla Conca di Plezzo,
veniva completamente travolta dai gas asfissianti, la 36° ripiegò ordinatamente
e si attestò sulla destra del Tagliamento. Qui venne affiancata
dalla divisione 63 ° prontamente richiamata dalla pianura
a rinforzo di quel tratto di fronte ed insieme, appoggiate dal
forte di monte S. Simeone, si attestarono a linea di difesa da
Trasaghis, di fronte a Gemona, fino a Tolmezzo.
Proseguendo l'avanzata austro-tedesca nella pianura da Udine verso
Pordenone, le due divisioni ebbero l'ordine di ripiegare su Tolmezzo
e, attraverso la valle dell’Arzino, passando per S. Francesco,
Pielungo e Clauzetto, guadagnare la pianura sempre sulla destra
del Tagliamento. La manovra forse era ispirata dalla volontà di
tagliare la strada agli austriaci che già dilagavano per
tutta la provincia di Udine o forse semplicemente per salvare due
divisioni che rischiavano di rimanere imbottigliate dentro 10 schieramento
nemico.
La ritirata avveniva alla cieca, nella più totale mancanza
di collegamenti, dato che all'epoca le comunicazioni erano effettuate
quasi esclusivamente via telefono ed in minima parte tramite
radio, che peraltro in montagna non funzionava bene, e le linee
telefoniche erano state sconvolte dall'offensiva nemica. La manovra
fallì in pieno grazie alla superiore abilità tattica
dei tedeschi, i quali anticiparono i nostri attraversando il Tagliamento
a sud, sbarrarono la valle dell’Arsino ed attesero che i
nostri arrivassero loro in bocca. Durante questa fase della ritirata
il battaglione Val Fella costituiva l'avanguardia e quindi si trovò per
primo a contatto con i reparti nemici e fu impiegato come ariete
per tentare di sfondare l’accerchiamento .
La battaglia iniziò all’alba del 5 novembre e fu
durissima I reparti andarono all’attacco quasi senza munizioni,
che erano state perdute durante la ritirata, e senza fuoco di accompagnamento
mentre erano sottoposti ad un tremendo fuoco di fucileria e mitragliatrici
da parte di un nemico molto ben appostato sulle alture circostanti.
Durante la notte tedeschi ed austriaci si ritirarono alquanto,
invitando così i nostri ad avanzare, cosa che puntualmente
fecero cadendo nel tranello. La mattina del 6 il combattimento
iniziò con gli italiani in posizione ancora più svantaggiata
e con i reparti ormai allo stremo per le perdite subite e per la
totale mancanza di munizioni, che costringeva i plotoni ad andare
all'assalto contando unicamente sulle baionette. Il Val Fella fu
decimato; come del resto quasi tutti gli altri reparti. Il 2° plotone
della 270° compagnia, quello del sottotenente Frerejan e dell'aspirante
Bonomi andò all'assalto varie volte e alla fine i superstiti
furono meno di una decina.
Al tramonto era tutto finito. I resti di due divisioni si arrendevano
e per quei soldati affranti, affamati e sconfitti iniziava il triste
periodo della prigionia, che sarebbe durato esattamente un anno.
Il momento della resa è criticissimo, forse peggiore del
combattimento stesso, perché chi si arrende è, inerme
ed immobile, alla merce del vincitore: e può facilmente
essere oggetto della vendetta di chi ha visto cadere un compagno,
magari un parente e con un colpo di fucile può sfogare tutta
la tensione accumulata durante il combattimento e tutto il rancore
contro il nemico vinto. Per fortuna di mio padre e degli altri,
i loro antagonisti erano degli austriaci: i famosi Schutzen, i
cacciatori, che erano l’equivalente dei nostri alpini. Se
fossero stati croati o bosniaci sarebbe andata peggio, molto peggio.
Mio padre, assieme ad altri fu preso in consegna da un caporale,
e siccome camminava adagio zoppicando perché era leggermente
ferito ad una gamba colpita da una scheggia, il caporale sfogò il
suo livore su di lui con un formidabile calcio nel sedere; e fu
tutto. Certamente quel calcio, dato con uno scarpone da montagna,
dovette essere veramente poderoso perché mio padre se ne
ricordava ancora da anziano a distanza di anni e anni :
"Che calcio che mi diede quel caporale!"
Così, quella sera del 6 novembre terminò per mio
padre la guerra combattuta: dal suo arrivo in trincea il13 ottobre
erano passati solo ventitre giorni. Avrebbe avuto dinnanzi a se
ancora un anno esatto di prigionia.
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