Ho iniziato "Argomenti" con il capitolo “Complicazioni” sostenendo che più avanziamo nel campo scientifico, più la realtà ci appare complessa e confusa. In altri capitoli appare che le strade sino ad ora percorse per inserire le osservazioni ricavate da strumenti sempre più precisi e sofisticati nei sistemi fondati sulla logica tradizionale, sono tutte destinate a non trovare uno sbocco soddisfacente per darci la
sensazione di una vita migliore.
Le malattie sono diminuite, la vita media è aumentata,
come anche il benessere economico, da una parte, mentre, dall’altra,
la propagazione di una cultura tecnologica adeguata è lenta,
perchè si innesta su basi politico sociali confuse
ed incerte a causa dell’intervento
di forze conservatrici che attraversano gli schieramenti politici tradizionali (Pareto definisce queste
forze come “persistenza
degli aggregati”).
Il sogno del positivismo ottocentesco - che ancora oscura la mente di molti psicologi, economisti e sociologi - di racchiudere l’universo
mondo in una formula matematica che consenta di realizzare la pace
universale, sembra svanire in modo definitivo
dopo i disastri perpetrati nel secolo scorso, sotto l’egida
di utopie costruite su modelli parziali di una realtà dove
l’uomo è l’oggetto da usare (*) per
aumentare le risorse e non il soggetto beneficiario principale delle
risorse stesse.
Ancora oggi la politica di stimolare i consumi per aumentare il prodotto interno lordo (PIL) sembra essere non idonea per risolvere il problema e ciò perché il dilemma è come e verso cosa orientare le maggiori quote di reddito conseguite.
Le decisioni in merito muovono sulla base di confuse discussioni ideologiche tra contrastanti pressioni lobbistiche che spingono a:
- lasciarle al cittadino per incrementare ulteriormente i consumi o la formazione di risparmio individuale riducendo l'imposizione fiscale personale;
- conferirle alle imprese per stimolare propri investimenti favorendo il mercato mobiliare da una parte e riducendo le imposte sui consumi, dall'altra;
- ridistribuirle nel welfare e/o nelle imprese e/o in investimenti strutturali.
La lotta di classe si è formata
con la contrapposizione dei fattori produttivi
terra, capitale e impresa al lavoro; dal chè può derivare:
- che, attraverso lo sfruttamento di posizioni monopolistiche
si accumuli ricchezza a detrimento del
fattore impresa e quindi anche di quello del lavoro creando
sottosviluppo e disoccupazione;
- che, attraverso la socializzazione di terra, capitale e impresa
non prendano corpo quelle iniziative opportune a creare uno sviluppo
che consenta di mantenere un alto grado di occupazione;
- che solo mantenendo complementari impresa e capitale con lo sfruttamento
di terra e lavoro, si possano efettivamente creare quelle condizioni
per mantenere il benessere economicamente inteso.
Le contrapposizioni si sono sviluppate sotto due linee ideologiche:
il socialismo ed il liberalismo, intesi nel senso classico.
Le contrapposizioni, in realtà, non si
sono sviluppate tra i fattori produttivi, ma ricadono tra chi ha
il governo di questi fattori e cioè su chi fonda la propria politica
col presupposto di realizzare la "felicità" dei
cittadini. Il socialismo ha creduto di realizzare questa “felicità” con
la pianificazione delle risorse attraverso complicati e dispendiosi
sistemi di ridistribuzione del reddito, il liberalismo, all’opposto,
con la limitazione al minimo degli interventi sull’economia,
lasciando il tutto all’autoregolamentazione del mercato.
Ancora oggi il dibattito politico si svolge su classi
di fattori, inquadrati singolarmente in ogni branca dello scibile umano e non sull’insieme dei fattori inquadrati in una logica antropocentrica.
Ma cos’è una logica antropocentrica? Non credo proprio di trovare questo temine nel dizionario.
Personalmente questo termine serve per
inquadrare tutti gli strumenti logici a disposizione per superare, nelle scienze umane, gli errori che nascono nel delimitare il campo di osservazione ai singoli aspetti dei fenomeni osservati e per produrre postulati sintetici volti a realizzare un equilibio psico-economico-sociale. La sociologia ricerca la pace sociale, l’economia l’equilibrio di mercato, la psicologia il benessere personale.
Il politico tenta di conciliare i contrasti che l’eventuale equilibrio di mercato possa far nascere dal punto di vista sociale mentre lo psicologo, consentendo dilazioni al pagamento della parcella, cerca di dotare il lavoratore della tenacia necessaria per aggiornarsi e ricercare una nuova occupazione, ma il tutto si esaurisce alternando politiche sociali a quelle liberali.
Credo nessuno abbia fatto qualche tentativo per verificare se sia possibile superare questa impasse, soprattutto in presenza delle attuali risorse tecnologiche ed energetiche disponibili.
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Un modello matematico che racchiuda la nostra esistenza e la natura che ci circonda compresa nell’universo intergalattico causato dal “big bang”, esiste solo nella mente di chi crede di essere Dio ed in realtà è solo un visionario che, in un dato sistema di osservazioni, non sa separare, in ciò che esamina, gli elementi definibili nell’immanente, da quelli trascendenti al sistema stesso, con la pretesa che il trascendente non esiste in quanto compreso nell’universo.
Nei capitoli precedenti ho avuto a che fare con questi concetti, ma non mi sono occupato di ciò che si definisce con l’osservazione.
Un primo approccio per la soluzione del problema, a mio parere, è che tutto parta dal presupposto che ognuno faccia il suo mestiere e stia nei limiti delle proprie indagini. All’economista non può richiedersi di progettare una riforma fiscale se non ha informazioni qualitative e quantitative relative al contesto cui verrà applicata e da queste informazioni potrà considerare solo le variabili di natura economica, mentre quelle di natura psicosociale dovrà considerarle come vincoli che richiedono analisi approfondite specifiche.
Quanto detto sembra ragionevole, ma non sufficiente. Se ogni specialista avrà detto la sua, dall’insieme delle analisi non nasce nessuna risposta concreta biunivoca per risolvere il problema. La soluzione può ancora giocarsi a dadi, essere assoggettata a referendum (il ché è l’equivalente) o affidata a chi fa la voce più grossa.
E’ evidente che, nel sistema delle democrazie occidentali, c’è ancora qualcosa che non funziona quando da progetti che nascono dopo studi raffinati ed approfonditi, le decisioni siano assunte con metodi così semplicistici.
Secondo me, oggi esistono mezzi idonei per risolvere in modo soddisfacente questo problema, purché ci si affidi ad una logica appropriata (logica incoerente applicata a sistemi non integrati) e si riporti ogni trascendenza a principi etici condivisi nascenti da tradizioni ancestrali.
Sotto questo punto di vista l’ancora
della memoria si aggrappa al Diluvio
Universale e cioè a quando l’umanità dovette,
per la prima volta, soccombere alla punizione divina.
Invero, anche
Adamo ed Eva subirono una punizione per aver colto il frutto dall’albero
proibito dando così origine al primo seme dell'umanità; e Dio, per l'abuso della libertà loro concessa, li segnò geneticamente col peccato originale mettendoli, di volta in volta, errore dopo errore, peccato dopo peccato, sulla retta via.
Dio non li sacrificò, li lasciò ancora liberi e l'umanità da loro generata dovette darsi sue proprie leggi.
Roma, 16 aprile 2004
Revisione: 8 dicembre 2004
Revisione del 23 dicembre 2006
Ritengo necessario dare maggiore chiarezza ad un concetto che ho espresso in questa pagina. Si tratta di logica antropocentrica, termine che ho usato in modo formale come se si trattasse di una terminologia scientifica. A tutt'oggi non mi è venuto altra idea per definire questo processo interdisciplinare. Qui mi preme solo chiarire che, nel senso nel quale voglio esprimermi, questa logica nulla ha a che fare con con l'antropocentrismo in rapporto rispettivamente con il teocentrismo e con il biocentrismo.
Roma, 10 settembre 2006 |