G.H. Bousquet, uno dei più devoti discepoli di Pereto, nella prefazione a I Sistemi socialisti nel testo della seconda edizione, pubblicata in Francia (la prima è del 1902) e rivista per la traduzione italiana operata nel 1951 per il n. 10 della collana Sociologi ed Economisti dell'UTET, delinea con chiarezza e semplicità i fondamenti sui quali si regge l'analisi critica ai movimenti di sinistra che già allora erano entrati nel vivo nel determinare le politiche nazionali dei paesi Europei. Da questa fonte traggo lo spunto per delineare un profilo storico non basato sui fatti, ma sugli effetti delle manifestazioni che hanno avuto sulla società del momento.
Per Pareto il presente illumina il passato e viceversa; la loro
analisi comparata mette in luce la loro profonda analogia sotto
aspetti mutevoli.
Il suo sforzo è teso verso la scoperta di fatti costanti
che si nascondono dietro apparenze variabili: noi non differiamo
molto dai nostri antenati, il presente somiglia al passato e perciò bisogna
studiarli allo stesso modo. (...) Pareto non spiega cosa sono i sistemi socialisti,
ma analizza la tumultuosa congerie di fatti ed eventi passati e
presenti dai quali appare che di scientifico c'è solo il
suo metodo ed i sistemi sono raggruppamenti vaghi ed incoerenti
di teorie che nel loro insieme manifestano questi caratteri comuni.
Ecco ciò Bousquet ritiene lecito trarre come conclusione sul carattere del socialismo nella sua unità e variabilità che sinteticamente si può riassumere:
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Prima di ogni altra cosa, tutti i sistemi socialisti cercano di restringere il diritto di proprietà privata e di estendere i diritti dello Stato, a detrimento della libertà individuale.
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Inoltre, almeno nell'epoca moderna, essi corrispondono, nei strati superiori della società, a uno sviluppo dei sentimenti umanitari, che fanno parte di quelli studiati da Pareto, nel Trattato, sotto il nome di « residui della classe quarta ».
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Viceversa, il socialismo nelle classi inferiori corrisponde a un sentimento accresciuto della loro propria dignità; sentimento che fa parte dei «residui della quinta classe ». Pareto ha forse omesso di sottolineare la cosa con sufficiente, forza.
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Infine, il fenomeno socialista traduce il gioco di molteplici interessi economici e un movimento di circolazione di elette, come Pareto non cessa di mostrarci nel corso della sua opera. Sono questi fattori che contano, e non le teorie più o meno assurde, le «derivazioni» socialiste. Questo è l'insegnamento fondamentale, che Pareto ci dà.
Vilfredo Pareto ha gettato il sasso nello stagno e affondato il
dito nella piaga aperta dagli avvenimenti che il mondo ha vissuto
nel primo quarto del secolo scorso.
Riporto parte del suo pensiero ricordando quanto ebbe a disquisire
in merito al marxismo e ne parlo proprio per rilevare come gli
argomenti sugli accadimenti umani evolvano seguendo lo sviluppo
degli eventi stessi e come eventi passati, visti oggi sotto un
occhio più evoluto, possono essere suffragati da argomentazioni più convincenti.
L'errore che, a detta di molti, fece Marx fu quello di pensare
che la classe dominante (patrizio, feudatario, mercante, borghese)
costituisca il proprio capitale appropriandosi del lavoro
del povero (plebeo, liberto, schiavo, servo della gleba, proletario).
In buona sostanza Marx sostenne che la lotta di classe doveva
essere praticata unendo i proletari con lo scopo
finale di combattere, ovunque nel mondo, la borghesia, abbattuta la quale, si sarebbe
costituito un ordine socio-economico universale in perfetto equilibrio.
Ma chi è il proletario?
Il termine letteralmente indica chi, per vivere, non fa altro
che prolificare ovvero chi, per patrimonio, possiede solo propri
figli e cioè un "senza censo", ovvero "un cittadino incapace di pagare le tasse" la cui sopravvivenza dipende esclusivamente dall'assistenza pubblica e dai propri figli.
La storia ci
dice che patrizi e plebei, non aventi altro patrimonio che i
propri figli, erano considerati proletari pur mantenendo il proprio casato; quindi, questi, non avevano alcun motivo di attuare una lotta di classe se non quella di costituire la numerosa folla supplicante "panem et circenses".
Il Manifesto del Partito Comunista formula al riguardo un equivoco che, specialmente oggi, appare in tutta in tutta la sua evidenza: l'Amministratore delegato di una multinazionale, ovvero il CEO per dirla all'inglese, è - marxianamente - un borghese o un proletario?
Marx non riesce a parcepire la figura dell'imprenditore che intende compresa in quella del capitalista, cioè quella persona che può mantenersi lussuosamente in città (Borgo), che investe il provento delle proprie rendite per trasformarle in capitale sottraendolo ai proletari. Ecco perchè, per Marx, il CEO è un proletario che ruba il salario ai propri sottoposti: il CEO è un traditore della propria classe; un crumiro al soldo del padrone.
Rifuggo dal citare nomi di personaggi, ma ritengo che, in Occidente, di borghesi puri così come intesi da Marx, ne siano rimasti molto pochi perchè, tali sono coloro che vivono esclusivamente delle rendite prodotte da loro speculazioni (peraltro, i grandi patrimoni ora sono gestiti da società o conferiti a fondazioni) e non chi crea ricchezza gestendo una piccola o grande impresa nè chi percepisce ricchi o modesti emolumenti con il lavoro proprio o alle dipendenze di terzi associati a rendite o interessi rispettivamente ottenuti da proprietà o risparmi accumulati nel tempo.
Pareto mi precedette in queste mie osservazoini! Infatti disse:
bando alle teorie generalizzanti che confondono schiavi, plebei
e servi della gleba con i proletari, da una parte, e dall'altra,
patrizi, nobili e cavalieri con i capitalisti e vediamo dove sta
la verità. Sostenne infatti che le teorie, i sistemi politici,
ed ogni altra dottrina ecc. sono costruite dagli uomini per velare
le vere ragioni delle loro azioni. In realtà, agiscono sotto
il dominio dell'istinto e della passione e le teorie si elaborano
con la pretesa di giustificare anche il peggiore dei loro atti.
Pareto visse la prima guerra mondiale, vide l'ascesa del fascismo
e morì nel 1923.
Pochi anni dopo iniziarono le purghe staliniane ed il ventennio
successivo, dopo la seconda guerra mondiale, iniziò un periodo
durato oltre trent'anni dominato dalla guerra fredda.
Fu una guerra combattuta sotto il deterrente delle armi nucleari
tra occidente ed oriente nell'emisfero nord dell'orbe terracqueo,
tra un'economia di mercato ostacolata dal protezionismo statale
e dai grandi gruppi monopolistici, da una parte e, dall'altra,
un'economia ingessata con una pianificazione statale che arrivava
a regolare la produzione sino ai più modesti beni di consumo.
Era un equilibrio imperfetto da entrambe le parti ma con una differenza
sostanziale: una forza contrattuale regolata dallo stato tra singoli
cittadini nell'ambito dei quattro fattori di produzione (terra,
lavoro, capitale e impresa) ed una forza contrattuale unilateralmente
esercitata dallo stato che si appropria di tutti i fattori di produzione
compensandone uno solo: il lavoro col salario confiscando la rendita,
l'interesse ed il profitto.
Infatti rinnegando la proprietà privata, Marx confuse il
fattore impresa con quelli della terra e del capitale facendo un
tutt'uno tra rendita, interesse ed utile da una parte, e dall'altra
attribuendo al fattore lavoro un salario residuo dalle spese per
i piani annuali, quinquennali, straordinari, ecc. Questo la dice
lunga sullo stacanovismo!
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Pareto intuì tutto su quanto sarebbe successo dopo la sua
morte, tutto nel senso delle azioni che ne sarebbero derivate in
base alle teorie socio-politiche nate a ridosso della rivoluzione
industriale e successivamente senza però parteggiare per
nessuno e senza indicare chi avrebbe vinto.
Infatti sostituì il concetto di lotta di classe con quello
della circolazione delle elette e con ciò risolse, sotto
l'aspetto scientifico, il suo problema, ma non indicò quale
bandiera avrebbe dovuto essere seguita per stare col vincente per
i successivi cinquant'anni considerando questo periodo pari alla
speranza media di vita di un adulto, né per i successivi
due: sopravvisse pochi mesi all'avvento del fascismo e non sembra
che abbia mai espresso una preferenza per questo movimento. L'unico
rimprovero che gli può essere mosso ancora oggi è quello
di non aver condannato la presa di potere di Mussolini ma di aver
considerato il suo movimento tra i tanti emergenti per giustificare
le azioni di una nuova eletta in sostituzione di quella obsoleta
ed inetta.
Ma non fu così: pochi anni dopo la morte di Pareto si osservò che l'eletta rimase la borghesia e gli ex popolari - benché saliti sull'Aventino e rimasti colà per oltre un ventennio - si ebbero i Patti Lateranensi. E così fu pace tra Stato e Chiesa, 58 anni dopo la breccia di Porta Pia. L'eletta era sempre quella ed anche i cosiddetti proletari, dopo i padroni, iniziarono ad iscriversi al fascio littorio consolidando la storica tradizione corporativistica italiana.
Il ricambio avvenne solo nella classe politica e solo per un ventennio
e poi tutto tornò ad essere come prima. Quanti di noi hanno
notato che Ivanoe Bonomi (a prescindere da Facta) fu l'ultimo presidente
del Consiglio dei Ministri prima dell'avvento di Mussolini e fu
anche il primo dopo la caduta di Badoglio?
L'eletta politica ha circolato ... ed è tornata. Nulla è cambiato?
Cos'è successo nel ventennio? .. nel cinquantennio precedente
ed in quello successivo? Cosa è realmente rimasto e cosa è cambiato?
Continuando ancora per poco, con i ragionamenti di Pareto, sembra
che il pensiero che copre le azioni dell'una e dell'altra parte
ponga un velo sulle reali ragioni delle azioni degli uni contro
gli altri: tra questi i teorici di partito, sociologi, economisti,
analisti di tutto e di più che abilissimi sanno tutto della
loro materia circoscritta, ma che spesso dimenticano che il governo
dell'interdipendenza tra le azioni umane non è volto a realizzare
il benessere universale (per non parlare di felicità), bensì a
risolvere di singoli problemi, uno alla volta, secondo l'urgenza
che ciascuno di essi assume nell'orizzonte temporale di durata
di chi ha la potestà di governarli.
Roma 5 maggio 2003
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